Zinal, Valais (CH) – il day-after di un evento che qualcuno ha addirittura definito esagerato. Certo siamo scesi dalla Val d’Anniviers molto frastornati, il livello che questa gara ha raggiunto è davvero unico, soprattutto perché rimane una GARA, una competizione di corsa veloce in alta montagna, senza eccessive implicazioni con questioni prettamente commerciali. Avremo tempo di affrontare questo argomento, a tutto tondo, con il mini dossier sulla comunicazione delle gare di mountain running che stiamo realizzando per voi e che contiamo di pubblicare in settimana.
Ora però torniamo alla gara e torniamo sui sentieri di Zinal. L’apertura è dedicata alle parole dei due migliori italiani di ieri, Francesco Puppi (14°) e Daniel Pattis (15°), eccoli ai nostri microfoni:
A bocce ferme è anche tempo di tirare le somme rispetto ad alcuni messaggi tecnici che ieri sono stati recapitati dai risultati ma anche da come essi sono maturati, proviamo a mettere a fuoco il momento con la nostra disamina tecnica:
A cambiare è la prospettiva, forse il succo è tutto qui…
Una nuova era nel mondo del trail running, si è letto più volte ieri, dimenticando forse anche che la Sierre Zinal esiste da anni quarantanove, quando diversi erano spiriti, terminologie, mode, business e dintorni. Ma non salite e discese.
Se un merito – uno dei tanti, ben inteso – va ascritto alla Sierre Zinal, è proprio il suo riportare al centro della scena, nudo e puro, il dato del confronto tecnico.
Pronti, via, appuntamento al traguardo. Non tanto perché in fondo non si sapesse che così deve per forza essere, quanto piuttosto perché questa evidenza, ieri forse più che mai, è stata ripresentata in tutta la sua cruda bellezza al grande pubblico, quello che i contorni del valore di una prestazione spesso ridisegna sulla base dei propri credo, dei propri miti, dei racconti che vanno per la maggiore, della propria cultura sportiva.
C’è un mondo, quello del mountain running classico, che le sfide con il cronometro ha nel suo DNA, e che i conti con il “pianeta Africa” ha iniziato a fare, con più o meno continuità, da molti anni. Lo ha fatto in passato, passando dall’entusiasmo per il De Gasperi che ad Ovronnaz 2007 metteva in fila l’Eritrea, all’ammirazione per i domini iridati dell’Uganda a Premana prima e a Canillo poi.
Forse per questo allora, anche alla luce di quanto visto ieri lungo i trentuno chilometri che uniscono Sierre a Zinal, ci si scompone un po’ di meno.
Senza però non rimanere fortemente colpiti da questo ulteriore spostamento in avanti di un confine: non di quello assoluto, non di quello rappresentato da record ieri rimasti comunque imbattuti. Colpiti piuttosto dalla densità di livello, dal piglio con cui Kangogo e Chesang si sono presi questa Sierre Zinal, scappando via a ritmi forsennati e prendendosi sul muso fino in fondo anche la loro bella crisi finale, perdendo nell’ultimo paio di chilometri una sfida con il cronometro che fino a quel momento pareva vinta per davvero: tre i minuti persi dal vincitore rispetto a chi inseguiva negli ultimi venti minuti di gara…
L’Africa, il Kenya, già altre volte, avevano vinto da queste parti: lo avevano fatto specie al femminile, quando però l’attenzione era tutta giocoforza catalizzata dal dominio maschile di Kilian.
A cambiare ieri è stata la prospettiva, forse il succo è tutto qui.
Ma è innegabile che il successo di Kangogo o la folle cavalcata della Chesang vadano in qualche modo ricollegate anche a quanto in stagione è stato ad esempio realizzato dai connazionali Joyce Muthoni Njeru o da Patrick Kipngeno. Perché i record di Nid d’Aigle e Thyon – Dixence, dal punto di vista prettamente tecnico, non valgono meno di quanto visto ieri.
Ci voleva la Sierre – Zinal 2022 per renderlo evidente ad una platea più ampia, meno avvezza a veder correre veloce sui sentieri e – per quanto letto al volo sui social anche ieri – più tendente alla ricerca di qualche sterile polemica piuttosto che al salutare con ammirazione le imprese sportive di un volto che appena esca dai propri confini di abitudine sportiva.
Di diverso, rispetto al passato, c’è il modo in cui questo gruppo di talenti africani si approccia a queste gare. Oltre all’impegno di RunTogether ora ci sono altri gruppi al lavoro, altri progetti organizzati, come quelli che hanno accompagnato verso questa Sierre – Zinal trionfale sia Esther sia Mark.
E’ finita allora per gli avversari? No, e ce lo spiega ad esempio ieri, con tutta la sua bella storia sportiva – condita di orienteering certo, ma anche di un 7’52” sui 3000 indoor e un 62.40 in mezza maratona – , l’iberico Andreu Blanes: ventunesimo a Ponchette, secondo al traguardo, con parziali da urlo nella seconda parte di gara. No, e ce lo ha spiegato l’anno scorso anche da questi parti, Nienke Brinkman, l’olandesina che, dopo aver dominato sui sentieri di Zegama, domani a Monaco in Baviera partirà con il miglior accredito ai Campionati Europei nella maratona.
Dal punto di vista tecnico, a gare come la Sierre Zinal ci si approccia in tanti modi diversi: confrontassimo i programmi di allenamento di Maude Mathys ed Esther Chesang ci divertiremmo non poco. Una pedala, l’altra corre, di sicuro non si guardano intorno quando si allenano, e di intensità ed endurance fanno un credo. Testa bassa e pedalare. O correre, fate voi.
Il fascino di queste sfide è probabilmente tutto qui, ma il tema rimane forse ancora piuttosto distante dagli interessi mediatici e commerciali, che gare come queste hanno anche il merito di interrogare e chissà mai scompaginare.
E’ pronto il mercato a costruire e rilanciare le storie di chi ha dominato questa volta a Zinal? Qualche dubbio rimane, ma la sfida si fa interessante anche in questo campo.
Sapremo affrontarla con un briciolo di onestà intellettuale? Lo vedremo, ma intanto, ieri come oggi, proviamo a leggere le prestazioni per quelle che sono, continuando a costruire il racconto attorno ai risultati più che i risultati attorno al racconto.
Foto : Marco Gulberti