Un terzo della popolazione mondiale in lockdown, 1.5 miliardi di studenti a casa da scuola e l’intero mondo (195 paesi) alle prese con casi legati all’emergenza coronavirus. Sono numeri senza precedenti, forse spaventosi, che se da un lato fotografano scientificamente le dimensioni della crisi, dall’altro nascondono una realtà più complessa e variegata.
Il mondo dello sport ha subito uno stop a livello planetario che non ha precedenti, se non durante le due guerre mondiali (con pochissime eccezioni). Abbiamo voluto provare a raggiungere i nostri amici, atleti o appassionati come noi, in un giro del mondo ideale, per far sentire loro un senso di fratellanza e partecipazione di cui abbiamo tutti bisogno, senza barriere geografiche o ideologiche. Abbiamo raccolto alcune considerazioni e soprattutto il loro modo di affrontare questo periodo complicato, diverso a seconda delle misure di prevenzione e contenimento dell’epidemia imposte dai rispettivi paesi, ma anche della cultura e delle società locali, delle sensibilità individuali e del senso di cittadinanza.
Adele Blaise, nazionale canadese di corsa in montagna e residente in Germania, riflette sui cambiamenti portati dall’emergenza:
“I miei genitori sarebbero dovuti venire a trovarmi dal Canada durante le vacanze di Pasqua, ora non sappiamo quando i voli intercontinentali potranno riprendere. Sono preoccupata non tanto per me, quanto per i miei studenti, insegno in una scuola elementare. Mi sono laureata durante l’ultima crisi economica, ed è così che sono capitata in Germania, ma il periodo che si aprirà dopo questa emergenza si prospetta ben più difficile. Se i giovani non avranno opportunità di studiare, lavorare, gareggiare e allenarsi, questo cambierà radicalmente anche il nostro sport. Mi sento fortunata ad aver avuto la possibilità di competere a livello internazionale negli ultimi cinque anni.” Riguardo alla sua vita a casa: “Sono comunque parecchio occupata, ho una figlia da crescere, i miei studenti da seguire con le lezioni a distanza e gli allenamenti virtuali su Zwift. E’ ancora possibile uscire a correre; sinceramente non ho mai visto tanta gente sui sentieri come in questi giorni. La Germania sta avendo un boom di persone che si dedicano ad attività all’aria aperta, dal jogging alla bicicletta, complice anche l’arrivo della primavera.”
Pascal Egli, forte mountain runner e PhD basato a Losanna, racconta invece di come le sue giornate non siano cambiate radicalmente da quanto è scoppiata l’epidemia. “Sto bene e al momento ho molto lavoro da svolgere (cosa che probabilmente è un privilegio). I miei allenamenti non sono cambiati in maniera drastica, anche perché ho sempre scelto di allenarmi vicino a casa per motivi di tempo e di sostenibilità ambientale. In Svizzera siamo fortunati, possiamo andare a correre e in bicicletta all’aperto. Anche la mia vita da ricercatore non ha subito enormi modifiche, se non per il fatto di lavorare da casa al posto che in università. Esco solo per allenarmi o per fare la spesa. Penso che le misure imposte dal governo svizzero siano ragionevoli anche per il fatto che lasciano liberi di uscire nella natura e scaricare la tensione che si accumula vivendo costantemente in casa. Le persone sembrano aver accettato le restrizioni e si comportano bene, anche se a volte i decreti lasciano spazio a interpretazioni.”
Elise Poncet, bella e leggera atleta della nazionale francese, autrice di una gara incredibile agli ultimi mondiali di corsa in montagna disputati in Argentina nella quale è giunta seconda, racconta la sua routine tra esercizio fisico e vita rurale: “Mi sto prendendo cura di mio nonno, ha 94 anni ed è venuto a vivere con me durante la quarantena. Continuo a lavorare da casa quindi sono sempre indaffarata! E poi ho l’orto, le galline da allevare, preparo il pane e lo yogurt, talvolta esco per comprare qualcosa dalle fattorie locali. Per quanto riguarda gli allenamenti, che sono abituata a svolgere quasi sempre da sola, il mio allenatore ha inserito nel mio programma cyclette e esercizi a casa, cosa che odio! Posso allontanarmi da casa al massimo per un’ora al giorno, fino a 1km di distanza, quindi non riesco a fare dislivello. Rispetto le misure imposte dal governo anche perché qui in Francia la situazione è piuttosto grave. Penso alla fortuna di abitare in un piccolo paese alpino rispetto ad amici che abitano in città. Per solidarietà con loro, e anche per rispetto di chi continua a lavorare per noi, penso sia importante rispettare le regole. Durante i weekend, insieme al mio ragazzo mi spostavo spesso per correre in montagna, arrampicare e sciare… tutto questo mi manca ovviamente, ma ancor di più mi mancano i miei compagni Anais Sabriè, Alexandre Fine, Julien Rancon, Sylvain Cachard… avremmo voluto partecipare alle gare di coppa del mondo di corsa in montagna. La federazione francese ha cancellato tutte gli appuntamenti agonistici fino a fine luglio, non c’è motivo di allenarci in maniera specifica senza gare all’orizzonte. Cerco solo di mantenere la motivazione, anche se l’euforia delle competizioni è insostituibile.”
Il capitano della nazionale francese di mountain running, Julien Rancon, avrebbe dovuto correre la maratona di Parigi come tappa primaverile prima di spostare la preparazione sui sentieri. Julien spiega come abbia dovuto rivedere i suoi piani. “Non appena il virus si è diffuso anche in Francia, abbiamo subito capito che non ci sarebbero state competizioni per un lungo periodo. E’ stato vedendo ciò che è successo in altri paesi, come l’Italia, che ci siamo veramente resi conto dell’emergenza. Le ordinanze non sono rigide come altrove, ma il governo ha dovuto renderle più severe perché c’era troppa gente fuori. Con la cancellazione delle gare, al culmine della preparazione per la maratona, ho deciso di concedermi due settimane di riposo e cross training, poi ho ripreso a correre gradualmente. Sarà difficile pianificare la stagione, proprio perché la ripresa viene continuamente posticipata. Mi alleno per mantenermi in forma, ma soprattutto per il piacere di farlo, mi fa bene anche mentalmente. Vivendo in campagna non ho avuto bisogno di correre spesso sul tappeto, posso uscire e spingermi fino a 1km da casa: in questo periodo davvero non posso lamentarmi, soprattutto sentendo i racconti di altri atleti. Penso che se tutti ci sforziamo di rispettare rigorosamente le misure di sicurezza, il virus potrà essere contenuto e la situazione durerà il meno possibile”.
Anche la situazione in Spagna è piuttosto complicata, come descrivono le parole di Sergio Garasa, giornalista di @carrerasdemontana: “Il confinamento è stato imposto gradualmente, all’inizio solo a Madrid, mentre dal 15 marzo le misure sono state estese a tutta la Spagna. La vita si è fermata, la maggior parte delle attività commerciali sono chiuse, solo dal 14 Aprile alcune potranno riaprire. La maggior parte degli spagnoli ha accolto positivamente e rispettato le ordinanze. I nostri atleti hanno iniziato ad allenarsi a casa, la maggior parte possedeva già un tapis roulant o una cyclette… altri si sono inventati ogni tipo di attività per mantenersi in forma, qualcuno ha corso una maratona su un balcone lungo 7m! Molti hanno scelto di condividere le loro attività sui social per i propri fan e questo è stato positivo per la popolazione. Per quanto riguarda gli organizzatori, molti sono stati costretti a cancellare le competizioni o a posticiparle. La maggior parte garantisce il rimborso del 100% della quota di iscrizione, cosa che è un bene per gli atleti ma molto dispendioso da parte loro.”
Voliamo ora in Norvegia da Johan Bugge, il “vicino di casa” di Kilian Jornet, dato che che abitano sullo stesso fiordo. “Sto bene e per il momento la mia salute è buona. Sono fortunato ad abitare in una parte della Norvegia (Romsdal) dove la situazione è relativamente stabile. Ci è permesso uscire, qui attorno abbiamo moltissime montagne dove in inverno pratico sci alpinismo, mantenendo sempre qualche sessione di corsa tra una sciata e l’altra. La motivazione per allenarmi in realtà non è la stessa da quando la mia stagione 2019 è terminata al Vertical Chiavenna-Lagunc. Per questo non ho forzato più del necessario e mi sono allenato meno rispetto ad altri anni, anche se la mia forma attuale non è male. Lavoro come elettricista a Molde. Le scuole sono chiuse, i supermercati rimangono aperti ma con regole molto rigide. Durante le prossime settimane sarà importante rispettare le misure di distanziamento sociale e evitare ogni forma di contatto fisico. La vita continua, per il momento non me la passo male, ma è chiaro che il 2020 sarà un anno decisamente diverso dagli altri”.
Nella vicina Svezia, Petter Engdahl descrive i suoi allenamenti con gli sci e l’arrivo della primavera “Qui le misure e i consigli dati dal governo non sono stati così drastici come nel resto del mondo. La maggior parte delle persone continua la propria vita quasi come prima; alcuni lavorano da casa. Ci è stato chiesto di evitare contatti con gruppi numerosi (più di 50 persone). Penso che gli effetti di queste decisioni debbano ancora rendersi evidenti ma confido nelle scelte del nostro governo. Per quanto riguarda l’allenamento, vivendo in campagna non incontro mai molte persone quando sono fuori. La stagione di sci stava decollando quando le prime gare sono state sospese, e ora è stata interrotta. Mi sentivo bene, avrei voluto partecipare ai campionati nazionali, ma ho potuto solamente competere in gare di sci virtuali, quasi come se la stagione stesse continuando ugualmente. Nelle ultime settimane in realtà il mio allenamento non è stato particolarmente diverso rispetto alla normalità. Ho una piccola palestra, ho approfittato per un po’ di riposo e nei prossimi giorni ho in programma di spostare il focus degli allenamenti sulla corsa”.
In Gran Bretagna, abbiamo raggiunto Andy Douglass, scozzese di Edimburgo, e Sarah Tunstall, fortissima atleta che vive abitualmente a Chamonix ma ha voluto rientrare in Inghilterra successivamente all’aggravarsi dell’epidemia, anche per rimanere vicina alla propria famiglia. “Le misure imposte dal governo permettono un’ora di esercizio fisico giornaliero” racconta Sarah. “Al momento vivo con i miei genitori in un paesino molto tranquillo, nella contea di Cumbria. Sono molto contenta di poter correre 35’-40’ al giorno lungo il fiume o andare in bici in campagna. Raramente incontro qualcuno quando sono fuori. Approfitto del tempo a casa per curare l’allenamento della forza, core stability e esercizi di pilates come seconda sessione giornaliera. Essendo abituata alle Alpi e a trascorrere la maggior parte della giornata all’aperto, sicuramente non è così divertente ma mi sento molto fortunata a potermi muovere ancora. In ogni caso non sto forzando in alcun modo l’allenamento, cerco solo di mantenermi in forma e di affrontare la situazione. Per il resto, lavoro da casa e ho ritrovato un po’ di tempo per dedicarmi a leggere, disegnare, chiamare i miei amici con cui magari non mi sento così spesso.”
Andy, settimo agli ultimi mondiali di corsa in montagna, sembra mantenere un equilibrio invidiabile tra smart working e allenamenti. “Fortunatamente ci è permesso uscire ad allenarci per un’ora. Non mi concentro tanto sulla quantità, quanto sullo svolgere due o tre sessioni di qualità alla settimana per mantenere la forma a livelli accettabili. Dato che passo più tempo in casa, ho l’occasione di dedicarmi a stretching e esercizi di forza e core, variando in tipologia e intensità a seconda degli allenamenti che svolgo di corsa. Il mio allenatore ha adattato le sessioni in maniera ottimale. Mi mancano soprattutto i miei compagni di allenamento, con i quali ero abituato a correre il giovedì sera e il sabato mattina. Qui a Edimburgo non è difficile rispettare le misure di distanziamento sociale; nonostante sia una città relativamente grande ci sono molte aree verdi e ho la fortuna di abitare ad appena 3km dal Pentlands National Park dove sentieri e montagne non mancano.”
Dall’altra parte dello Stagno (on the other side of the pond…), negli USA, abbiamo parlato con Andy Wacker e Joe Gray. Andy, residente a Boulder, CO, sottolinea come lo spirito outdoor degli abitanti del Colorado renda difficile correre sui sentieri rispettando le misure di distanziamento sociale previste dal governo. “I sentieri sono aperti, ma alcuni, specialmente quelli più facili e quelli vicino ai Flatirons, sono molto affollati. Devo fare attenzione a evitare alcuni momenti della giornata e le location molto popolari. Altre volte è possibile percorrere un sentiero in una sola direzione, per esempio un anello in senso orario. Le piste sono completamente chiuse. In realtà mi sto allenando anche più del solito, fino a 100 miglia a settimana (160km), ma ho rivisto i miei programmi in funzione del rinvio degli appuntamenti agonistici.”
Joe Gray, da Colorado Springs, circa 200km a sud di Boulder, gli fa eco. “Troppi parchi sono ancora aperti, è triste vedere come molti sentieri diventino affollati e vittime dell’incuria della gente, che lascia rifiuti e sporcizia. Ci sono persone che non rispettano le regole e le misure di distanziamento sociale, come se non avessero capito la gravità della situazione. Penso sia un atteggiamento egoistico. La vita è dura per tutti in questo periodo, forse ancor di più per noi atleti. Ciò che amo di più del nostro sport è la competizione e la possibilità di incontrare altre persone. Senza gare all’orizzonte non è stato facile decidere quale tipo di preparazione atletica svolgere. Ho sperimentato alcuni allenamenti nuovi, utilizzando anche la mountain bike, ma ho evitato lavori troppo impegnativi. Ho dato importanza al riposo, a passare del tempo con la mia famiglia…ho cucinato spesso gli gnocchi!”
Il nostro giro del mondo continua in Perù. Jersey Miranda, blogger e fondatrice della pagina @trailperu, descrive una situazione ancor più complicata rispetto a tanti altri paesi. “Dal 16 marzo siamo in lockdown totale. Ci è permesso uscire solo per necessità primarie (cibo, banche e farmacie). Le misure di sicurezza, inizialmente previste per 15 giorni, sono state estese fino al 26 aprile, e si fanno via via più severe. Le ultime prevedono il divieto di allontanarsi da casa dalle 18 alle 5 dal lunedì al sabato, e divieto di uscire la domenica, per qualsiasi motivo. Sono misure molto severe ma a mio parere necessarie: il nostro sistema sanitario è debole e abbiamo solamente 200 respiratori in tutto il paese. Non abbiamo potuto permetterci di fare come in altre nazioni e temporeggiare, o adottare misure più graduali per la prevenzione. Il rallentamento dell’epidemia ci ha così permesso di organizzare un po’ meglio le nostre risorse e i medici a disposizione della popolazione. L’attività fisica all’aperto non è permessa in nessun caso, nemmeno in luoghi isolati. Cerchiamo di mantenerci attivi con gli allenamenti indoor, ma ovviamente non è la stessa cosa. Molti allenatori peruviani hanno messo a disposizione le loro conoscenze per la popolazione, con live streams e lezioni via YouTube o altri social. Trail Perù sta cercando di promuovere la consapevolezza tra le persone riguardo all’importanza di rispettare le misure imposte e di mantenersi in forma anche da casa, senza esagerare. La vita si è fermata; il virus ci dà anche l’occasione di riprendere abitudini o riaccendere passioni che possano essere coltivate anche da casa. Ho rinunciato a pensare a qualsiasi tipo di gare fino all’anno prossimo”.
Jose Manuel Quispe, atleta peruviano di ottimo livello, ottavo alla Dolomyths Run 2019 e 12esimo ai mondiali di trail, vive sulle Ande, a 11 ore di viaggio da Arequipa, nel Canyon di Cotahuasi, uno dei più lunghi del mondo. Josè, come molti giovani della sua età, vive di agricoltura coltivando patate, che in questo particolare momento non può vendere al mercato a causa dell’epidemia. “Molte persone si stanno trasferendo dalle città alle zone rurali e temiamo che questo possa diffondere il contagio soprattutto tra i nostri anziani. Le autorità stanno educando le famiglie affinché escano a turno a comprare il cibo per gli animali. Il coprifuoco è stato imposto dalle 18 alle 5, manteniamo il distanziamento sociale e ci alleniamo alle 5 di mattina salendo in montagna, anche ad altitudini fino a 4500m per evitare il rischio di incrociare qualcuno.”
Nel Giro del mondo in 80 giorni di Verne, Phileas Fogg impiegava 22 giorni per attraversare il Pacifico a bordo di uno steamer, da Yokohama a San Francisco. Molto meno avventurosamente, abbiamo impiegato appena qualche ora a raggiungere Sabrina Grogan a Auckland, in Nuova Zelanda. “Com’è cambiato il mondo in così poco tempo! La Nuova Zelanda è in stato di quarantena da poco più di due settimane e lo sarà almeno per altrettante. Possiamo uscire solo per i servizi essenziali e incontrare solamente persone del nostro gruppo familiare. In questo periodo la corsa è limitata a brevi allenamenti nelle vie attorno a casa. Ideale? No, ma non sarà così per sempre. Correre sui sentieri sarebbe ben più rischioso, sia dal punto di vista del contagio che in caso di emergenza. Per ora mi accontento di cyclette, palestra a casa e altri allenamenti indoor. Kia kaha – be strong (in Maori)!”
Mark Bourne, dall’Australia, descrive una situazione meno problematica. “Possiamo allenarci all’aperto a condizione che venga mantenuta la distanza di sicurezza di almeno due metri. Quindi la maggior parte delle persone si allena da sola. Rispetto alle regole, non credo ci sia differenza tra atleti professionisti e amatori. Senza gare in programma non c’è particolare ragione di allenarsi duramente, ma sono felice di potermi allenare all’aperto, è un grande vantaggio.”
Dagli antipodi del globo ritorniamo in Italia, dove vorremmo provare a descrivere il vuoto creatosi attorno a noi attraverso gli occhi di una atleta che ha scelto Malonno come nuova casa. Ci riferiamo ovviamente a Heidi Davies. “Sicuramente le mie abitudini di allenamento sono cambiate moltissimo. Ora il mio spazio è limitato al perimetro del prato attorno a casa. Certi giorni è difficile trovare una motivazione per correre in 50 metri quadrati: perché lo faccio, mentre ci sono persone che lottano per sopravvivere o sono impegnate a salvare altre vite? Alcuni giorni mi sento inutile. Ma penso che proprio questo possa aiutarci a guardare le cose da un’altra prospettiva, ad essere grati per ciò che siamo e che abbiamo. Milioni di persone nel mondo stanno vivendo un dramma simile: questo mi fa sentire partecipe della loro situazione e meno sola, anche se vivo lontana da casa e non so quando potrò rivedere la mia famiglia. Perché continuo a correre in tondo? Sono una atleta, sono una persona come le altre, provo a dare un senso a ciò che mi accade attorno. E’ in situazioni come questa che bisogna essere forti, chiederci chi siamo, perché continuiamo a fare ciò che facciamo…la risposta vorrei cercarla ogni giorno.”
Il nostro tour è finito. Speriamo di avervi tenuto compagnia per qualche manciata di minuti: sentirci vicini e partecipi in questa situazione difficile ci aiuta a essere più umani e aperti verso gli altri. Ora più che mai, We are the World, We are the People.
Francesco Puppi