RAIMONDO BALICCO, UNA VITA DI CORSA IN MONTAGNA

77 anni e quella che sembrava essere solo una banale influenza ha, invece, aperto la porta a quel maledetto virus: così, troppo velocemente, ha salutato tutti e se n’è andato a correre sulle montagne del cielo. Anche se aveva ancora molte cose da fare, da completare intanto per la sua comunità di Mezzoldo, circa 160 anime tenacemente arroccate là ai piedi del Passo San Marco, l’anello di congiunzione tra la Val Brembana e la Valtellina, ma anche per la sua famiglia. Sì, perché, dopo una vita spesa a seguire le sue due più grandi passioni (dopo la famiglia, per l’appunto): il Corpo Forestale dello Stato e la corsa in montagna, Raimondo Balicco era stato quasi invocato ad occuparsi delle sorti e del futuro di quel suo paesello del quale fu, infatti, sindaco prima dal 2002 al 2012 per ritornare, dopo una parentesi da assessore in Comunità Montana, ad indossare la fascia tricolore nel 2017.  Ma, prima di allora, proprio nella corsa in montagna, era divenuto un protagonista a tutto tondo: da atleta, quindi da tecnico e dirigente.

Gli anni ’70 erano stati quelli del dominio assoluto, nella marcia in montagna italiana di allora, della componente bergamasca: dalle Valli che sfociano nella pianura attorno al capoluogo, ecco un fiorire di campioni e di società che marchiarono, indiscutibilmente, l’epoca. E i Campionati nazionali ai tempi dell’Enal – che fossero individuali o a staffetta – erano sempre sfide al calor bianco e sul podio, più che l’Inno di Mameli, andava bene proporre anche qualche canta tipica di quelle terre. Davvero “Berghem de sass”! Erano quelli della Valle Imagna, della Val Seriana, della Val Brembana, erano di Casazza e Camerata Cornello, di Zogno e San Pellegrino Terme, di Gazzaniga, ragazzi che correvano, dominavano, festeggiavano… Erano i Sonzogni e i Patelli, i Lazzarini e i Lazzaroni, i Pezzoli e i Guerrini, i Pasini, i Bombardieri, i Salvi e i Giupponi e gli Amalfa e molti altri ancora…: uno dei pochi che seppe incrinare quest’egemonia, in particolare assieme ai carnici di Paluzza ed i toscani dell’Orecchiella, fu il trentino Mario Varesco. Attorno a questo straordinario campione fiemmazzo, con la passione della costruzione delle stube da riscaldamento, il Corpo Forestale dello Stato mise in piedi una piccola, invincibile “armata” che aveva nei due fuoriclasse bergamaschi, Giovanni Mostacchetti e Raimondo Balicco, le altre due “punte” di una staffetta, che mi permetto di considerare essere stata la più grande di sempre che ha calcato i sentieri della corsa – pardon, marcia – in montagna italiana. 

Erano “militari” e, come tali, a loro non era concesso dall’Enal l’onore di vincere il titolo nazionale di staffetta e quel trofeo “Tommaso Monti” che veniva così assegnato alla prima squadra “civile” classificata. Loro vincevano la competizione tricolore ma si portavano a casa solo la… “Targa Ministro della Difesa”, quella riservata, appunto, alle formazioni “militari”. 

Quando, nel 1972, la Fidal varò il primo Campionato italiano di staffetta, a Morbegno furono beffati dagli “stradaioli” della Pro Patria Milano, Conti, Barattoni e Segrada; si rifaranno l’anno dopo e poi ancora nel 1976. Da parte sua Balicco vincerà il tricolore individuale dell’Enal nel 1976, l’anno che dominò anche il Campionato nazionale degli alpini, un’altra sua grande passione.

Poi un incidente automobilistico lo costrinse ad appendere le scarpe al classico chiodo e fu bravo a disegnarsi un nuovo futuro, sicuramente ancora più strategico e importante per il settore. Infatti, il mai sufficientemente valutato e ringraziato Enal, stava per lasciare la scena e la propria proposta “dopolavoristica” nata nel Dopoguerra, fagocitato da una norma che andava a cancellare alcuni enti definiti… inutili: pensiamo se mai quella norma venisse applicata oggi! 

E così, per salvare il futuro della corsa in montagna e traghettare la disciplina dentro la Fidal, ecco nascere il Comitato Nazionale Corse in Montagna (primo presidente il bolzanino Mario Zorzi) e dove Balicco, assieme ad altri due bergamaschi, Angelo De Biasi e Domenico Salvi, fungeva da coordinatore ed anima operativa: nel 1979, a Cagliari, la Federazione deliberò il riconoscimento della specialità. 

Tutto cambiò? Sì, quasi tutto. Certo, gli anni delle gare con scarponcelli, zaino come testimone da passare tra un frazionista e l’altro, i sigilli di piombo al polso per certificare l’avvenuta effettuazione della visita medica, i pantaloncini di tela, la maglietta di lana diventano un ricordo e anche questo settore si va ad omologare, ben presto, alla nuova dimensione dell’atletica leggera voluta da Primo Nebiolo.

E Balicco molto farà per intervenire sui regolamenti, sulle caratteristiche tecniche dei percorsi ed organizzative delle gare: c’era da disegnare il futuro della disciplina. E lui era presente.

Nel frattempo curava il settore e la squadra agonistica per il Corpo Forestale dello Stato, unico corpo militare realmente impegnato anche in questo ambito. Sotto di lui sono transitati, tra gli altri, campioni come Simonetti e Bortoluzzi, Fregona e Lizzoli, Scanzi e Agostini, Galeazzi e Manzi, Baldassar e Pilot, Lenzi e De Gasperi… Oltre ad essere stato anche punto di riferimento per i colleghi d’Italia nelle contrattazioni sindacali con il Comando del Corpo.

Ma ancora non bastava tutto ciò: c’era da dare una dimensione anche internazionale alla disciplina; insomma, bisognava uscire dal cortile di casa. Ecco quindi, i primi Incontri Internazionali, voluti per avviare un dialogo almeno a livello europeo tra realtà più o meno analoghe. Si parte nel 1981 dalla Val Gandino, a Leffe, a casa di Privato Pezzoli, uno dei leader in campo di quegli anni. L’anno prima c’era stato un esperimento in Svizzera, ma quello di Leffe aveva già una certa… benedizione federale, anche se le Nazionali schierate erano, come si può dire?… solo “Sperimentali”! E si andrà avanti così, anno dopo anno, fino al 1984 quando a Zogno, vicino a casa sua, venne costituito il Comitato Internazionale delle Corse in Montagna che, come primo atto, varò la Coppa del mondo, disputatasi l’anno dopo in Val Badia, a San Vigilio di Marebbe. Balicco rimarrà alla guida tecnica della Nazionale fino al 2012, portando l’”Armata Azzurra” a dominare in Europa e nel Mondo. Saranno le epoche di Vallicella e Bonzi, di Milesi e De Gasperi, di Molinari e Bertolla, di Bernardini, Tommaselli e Tadello, di Pezzoli e della Cocchetti, della Savaris, della Rota Gelpi e della Curti, della Confortola, della Gaviglio e della Roberti e… 

Seguirà da protagonista l’evoluzione della disciplina, che oggi è finalmente riconosciuta in ogni Continente rimanendo, però, sempre fedele a quello che erano il profilo, l’impostazione e la cultura d’origine della specialità. 

L’hanno definito il tecnico più vincente di sempre dello sport italiano. Certamente, se oggi la corsa in montagna ancora esiste e si è ben diffusa, pur tra conservazione e innovazione, un grande merito va a questo uomo che, per questa disciplina dell’atletica, ci ha messo il cuore ed ha speso la propria vita.

Giovanni Viel

Foto: archivio corsainmontagna / And Pont Saint Martin / Gianni Gritti / Nancy Hobbs