Una batosta senza precedenti al femminile, dove non abbiamo NESSUNA atleta nella top 10, qualche timido segnale al maschile dove piazziamo 4 atleti nei primi 10 e complessivamente 6 nei primi 20, ma anche qui ZERO nelle posizioni che contano: nessuno sul podio.

Col mondiale argentino ancora lontano (e dove comunque festeggiare una top 10 è diventato come festeggiare una medaglia.. Canillo Docet) ci si interroga sullo stato delle nostre truppe di montagna, con una constatazione molto semplice: il livello si è alzato e la scuola anglosassone, che mixa meglio di noi la preparazione classica da mezzofondo con profili di atleti meglio inseriti nel contesto culturale off-road e meno “delicati”, ci ha superato.

Donne: God save the queen

Ok, titolo forzato visto che a vincere è stata un’atleta irlandese che con la reggente di Buckingham Palace poco c’azzecca, dietro però ci sono 5 atlete della Gran Bretagna sulle restanti 9 in classifica. Ci hanno creduto di più, questo è chiaro, ma come scriveremo e scriveranno mi auguro in altri editoriali sulla coppa, parlare degli assenti non ha senso. Come sempre il finale di stagione apre spiragli sull’edizione successiva: la ceka Marsanova ha gareggiato parecchio sull’arco alpino, alternando gare tecniche a gare di puro mountain running, potrebbe essere un nome per l’anno prossimo. L’austriaca Hauser poteva fare tranquillamente il podio con un viaggio a Lubiana. Quest’ultima affermazione ci apre a riflessioni sul “ne vale la pena” .. tema che la WMRA dovrà lavorare in inverno, perché oggi la world cup torna a regalare imagine ed esposizione, da domani bisognerà anche far passare questi atleti alla cassa.

Non è una colpa, non è una polemica, è un fatto che oggi l’italia femminile che corre in montagna non ha profilo internazionale. Non possiamo accontentarci di una gara magistrale della Sortini a Llanberis per dire di contare ancora qualcosa sullo scacchiere mondiale delle gare, non dei singoli campionati che si esauriscono in un giorno.

Zermatt ci ha dato una medaglia europea a squadre che nella corsa in montagna di tutto il resto della stagione non vediamo concretizzata, come non vediamo nomi di atlete italiane forti essere protagoniste nelle classiche internazionali (e l’infortunio di Valentina Belotti è solo metà della spiegazione). Ed allora il dito sulle labbra per zittirci lo hanno messo gli altri, ed oggi hanno ragione loro.

 

Uomini: esserci non basta

Se per una legge chiara di numeri e presenze il ranking femminile risulta direttamente influenzato da logistica, salute e coincidenze geografiche, quello maschile soprattutto in top-10 racconta tutt’altra storia.

C’è stata lotta e livello elevato in ogni singola prova e sbatterci ostinatamente la testa come ad esempio ha fatto il capitano azzurro Berny Dematteis (encomiabile per coraggio e spirito incrollabile) non ha permesso di andare oltre il 4° posto perché i tre davanti sono oggi dei fuoriclasse assoluti.

Nella top 10 c’è anche una ventata di novità con Hanna e Beçan, c’è la bella storia dell’ungherese Szabo, c’è il nome del nostro Alberto Vender ad esempio, che in questa coppa ci auguriamo torni per recitare un ruolo da protagonista.