Quella volta ero il più debole

Mancano poche ore a uno degli appuntamenti più attesi della stagione di corsa in montagna classica.

Il campionato europeo di Zermatt 2019, edizione only up, si preannuncia probabilmente il migliore di sempre nella specialità. Non mancheranno le icone, i campioni del mountain running, così come i veterani, i giovani, e gli outsider che da ambienti e background differenti hanno scelto di convergere sulla perla annidata a 1600m di quota, all’ombra del Matterhorn, che è questa località Vallese.

Dopo due anni consecutivi in cui ho fatto parte della squadra azzurra europea (nelle edizioni di Kamnik 2017 e Skopje 2018), quest’anno le scelte e gli obiettivi agonistici mi hanno portato altrove. Tuttavia, il fascino di Zermatt e di questa edizione speciale dei campionati europei mi riportano indietro a rivivere una serie di esperienze importanti, che in un certo senso mi hanno aiutato a definire ciò che è il mio correre in montagna e ciò che sono come atleta.

Potrei fare una prima considerazione, che vale sia per Kamnik 2017 che per il dream team di Skopje 2018. In entrambi i casi, ero il più debole della squadra. Ed è stato importante, per me, sentirmi proprio così, l’ultimo. Quello che non aveva niente da perdere, ma tutto da imparare. Il bisogno di sentirmi debole mi accompagna in alcuni momenti della vita in cui perdo di vista la strada da seguire, in cui il susseguirsi degli eventi, dei contrattempi e degli impegni nasconde ciò che è il disegno più grande, la prospettiva temporale e spaziale che risulta chiara solo dopo aver vissuto e dato un significato al presente.

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Ricordo bene l’emozione del mio primo europeo, la verde Slovenia, l’altopiano di Velika Planina, i daini di Godic. Ero insieme ad altri tre atleti straordinari, Alex Baldaccini, Cesare Maestri e Xavier Chevrier, e non c’è nulla da spiegare sul valore di questi tre fuoriclasse. Ogni nazionale è indissolubilmente legata ai compagni di squadra e il blend che ogni volta si crea è speciale, ma quella volta forse ancor di più. E’ un legame che proprio per questo va al di là della semplice amicizia.

Nella prova di selezione, la temuta Bolognano-Velo del maggio 2017, una delle gare che ancora oggi ricordo di aver corso più vicino al limite, ero finito ultimo in una volata a cinque, dietro Xavi, Cece, Douglass e Balda, agguantando l’ultimo posto buono per una maglia azzurra. Poco avanti a noi c’era Petro, all’inizio della sua campagna europea di vittorie e record.

Sentivo di avere tanto da capire, osservavo e ammiravo i miei tre compagni, per una volta vestiti uguali a me, atleti con cui ho potuto condividere una avventura sportivamente importante, ma che ancor di più è stata in grado di toccare il cuore.

Per me Kamnik 2017 è stata la gara quasi perfetta; quasi perché di gare perfette non ne ho mai fatte. E’ stata la gara dove ogni scelta, ogni mossa, ogni passo è stato compiuto al momento giusto, con un’intensità istintiva, la mente libera, una fiducia incrollabile. La gara perfetta è stata di Xavi, e quello rimarrà per sempre il suo giorno.

Skopje 2018 è stato diverso, e anche la sicurezza con cui mi sono presentato in gara era di altra consistenza. Questa deriva soprattutto dalle esperienze, dal numero e dalla qualità delle linee di partenza su cui ti sei presentato e ovviamente dai risultati. L’insicurezza in quella situazione era più che altro legata alla tenuta del mio ginocchio sinistro, per via di un infortunio patito un mese prima durante le selezioni di Saluzzo. Il dream team di Skopje 2018, il formidabile clean sheet 1 – Bernard Dematteis, 2 – Cesare Maestri, 3 – Martin Dematteis è lì da vedere. Io in quella occasione finii ottavo.

Zermatt è anche il luogo dove ho vestito la mia prima maglia azzurra, indissolubilmente legato a quella prima volta. Unlimited Zermatt.

Il 4 luglio 2015, esattamente quattro anni fa, debuttavo con la nazionale di corsa in montagna nel campionato del mondo di lunghe distanze sul bellissimo percorso della Zermatt Marathon, che rappresenta, insieme alla Jungfrau, il meglio delle maratone alpine. Ancora non sapevo nulla della nazionale, del battesimo, dei raduni; venivo da quattro anni in cui mi impegnavo al massimo per allenarmi e programmare, correvo tanto, gareggiavo di più, e oggi ogni cosa di quel periodo mi appare spontanea e in eterna, necessaria ascesa. La mia collaborazione tecnica con Tito era appena iniziata, e forse io ero il suo primo atleta a raggiungere il traguardo importante della nazionale.

Anche a Zermatt ero il più debole della squadra, sicuramente il meno esperto. Avevo 23 anni ed era la mia prima maratona. Il pensiero costante era quello di risparmiare energie ed iniziare a correre il più tardi possibile nella competizione, di “sentire” il percorso e l’adattarsi del corpo alle sue caratteristiche.

Di questa esperienza ho già scritto e fissato, non solo con la penna, le emozioni che mi porto dentro ogni giorno. Il posto sul podio è lo stesso che il destino mi ha concesso a Kamnik e che penso possa andare bene per me, il gradino più basso. Tommi vinse ed espresse il meglio di quel giorno dell’indipendenza.

A voi sedici azzurri, che con le vostre storie, pensieri e sentimenti vi presenterete al via domenica, vi auguro uno Zermatt. Sentitevi, più di ogni altra cosa, voi stessi.

Francesco Puppi

@fra_puppinho