Trail World Championship 2019
“Ci sono arrivato vicino, molto vicino.”
Story: Francesco Puppi
Photos: Marco Gulberti, Miro Cerqueira Photography, 4RUN.pt
Dopo una gara al limite delle mie possibilità attuali e una battaglia incredibile nei 2 km finali, dieci secondi mi hanno separato da Christian Mathys per un posto sul podio. Sono quarto ai campionati mondiali di trail per dieci secondi. Questo è lo sport.
Ho fortemente voluto e inseguito quel terzo posto durante la gara. Come già ho scritto, non avevo aspettative particolari in termini di risultato, ma avevo fiducia nelle mie possibilità, abilità e nel mio istinto. Ed è andata esattamente così; il mio quarto posto è il risultato di diverse componenti, coincidenze e intrecci, in una sola parola: scelte. Andare o rimanere. Attendere o partire. Ascoltare oppure pensare diversamente.
Quando affronto una gara lunga ho sempre la sensazione di avere tempo di pensare alla strategia, e questa è sicuramente determinante per il risultato finale. Ma ciò a cui mi riferisco precisamente non sono tanto le scelte a cui ci si trova di fronte durante la competizione: sono le scelte di ogni giorno, la continuità con cui uno porta avanti un’idea, uno stile di vita, una valutazione. Scelte legate all’allenamento, al riposo, all’alimentazione, alla cura di sé, al lavoro, alla lettura, alle parole. Non ho ancora trovato la chiave di tutto questo. La mia tensione verso l’equilibrio si infrange costantemente contro questo pensiero. Che è ciò a cui vorrei aspirare in tutti gli aspetti della mia vita, di cui la corsa è una parte fondamentale su cui ho costruito questa idea, senza soluzione finale.
Il mio campionato del mondo di trail running 2019 – Trilhos dos Abutres – è stato probabilmente il meglio che potessi fare quell’8 giugno.
Dopo una partenza veloce ho ben presto lasciato che i leader facessero il loro ritmo. Ero chiaramente consapevole della necessità di condurre la gara in rimonta se volevo avere qualche minima possibilità, data la preparazione necessariamente corta. Davanti vedevo francesi, inglesi e spagnoli, con tutti i migliori: Hernando, Rancon, Martin, Albon, Davies; appena davanti a me Marco De Gasperi e Luca Cagnati.
Ho lasciato scorrere via i primi nove chilometri abbastanza facilmente, sebbene fossi consapevole di aver perso secondi preziosi dalla testa della corsa. Il sentiero, inizialmente privo di vere difficoltà tecniche, era un susseguirsi di nervosi saliscendi inizialmente con tendenza ascendente, cosa che sarebbe stata il filo conduttore di tutta la gara. Sono abituato a corse in cui esiste una chiara distinzione tra salita e discesa: la chiave di questa gara, per me, è stato l’accorgermi di come non ci sarebbe stata nessuna “salita” o “discesa” nel senso più classico dei termini, ma un’indefinita terra di nessuno, un alternarsi di diverse superfici, ostacoli, curve e pendenze su cui una sola era la cosa da fare: correre forte. Quel tipo di percorso dove è facile perdere concentrazione, addormentarsi sul ritmo, e di conseguenza lasciare per strada un considerevole numero di secondi al chilometro.
Potrei definirmi uno scalatore, infatti sono piuttosto debole nelle discese, soprattutto quelle più tecniche, mentre solitamente mi sento a mio agio nelle salite lunghe e costanti. Ma la montagna e la corsa non hanno bisogno di classificazioni, che sono solo pratici artifici che la nostra mente utilizza per dare un ordine alla complessità che percepiamo nella natura. Un carattere molto umano che ancora una volta ci pone di fronte alla vastità della realtà fenomenica.
Non potevo che pensare all’immagine di Gloria in piedi sul limitare del percorso. Ho guadagnato cinque o sei posizioni su un tratto in salita attraverso un bosco di eucalipti, correndo alcuni minuti con Marco e Luca e scambiando qualche sguardo e parola di conforto con loro.
Poi ho faticato nella parte più tecnica del percorso, una ripida discesa che costeggiava un torrente incassato in una stretta valle, perdendo rapidamente il vantaggio accumulato. Poco dopo, ecco l’unico ristoro assistito di tutta la gara: il tempo di prendere al volo un paio di flask e incrociare gli sguardi di Fulvio e Stefano, e me n’ero già andato attraverso due ali di folla assiepata su una scalinata. A quel punto ero in sedicesima posizione al 16° km, dopo circa 1h20’ di gara, a 2’45’’ dalla testa della corsa.
Sapevo che a da lì in poi sarebbe finalmente partita la mia gara. Ho spinto e poi ho spinto più forte. Ho passato tutti gli atleti che mi avevano ripreso in discesa e mi sono avvicinato alla testa della corsa, facendo segnare il parziale più veloce della gara. Ho saltato il campione spagnolo Luis Alberto Hernando e mi sono sentito agile e leggero nei cambi di direzione della serra portoghese, mentre i chilometri scorrevano via rapidamente.
Al check-point del km 29 ero in quarta posizione. Sapevo che Julien Rancon e Jonathan Albon erano ormai fuori portata: troppo forti, troppo esperti e troppo lontani per poter tentare un attacco o sperare in una loro crisi durante l’ultima ora di gara. Il mio obiettivo poteva diventare Christian Mathys, che aveva condotto gran parte della competizione ma che stava iniziando a mostrare segni di cedimento, stando alle informazioni che mi giungevano dall’esterno. Non sapevo quanto fosse lontano e intanto dovevo guardarmi dagli attacchi degli atleti appena dietro di me, ben consapevole che l’ultimo terzo di gara non era certo disegnato per le mie caratteristiche, almeno sulla carta.
Sorprendentemente sono riuscito a mantenere un ritmo decente; soprattutto ho continuato a sentire i piedi rapidi e reattivi sulle difficoltà tecniche della discesa e le gambe forti e efficaci nelle risalite che spingevo al massimo.
L’ultimo ristoro, quello di Gondramaz, precedeva un tratto tecnico di 4km che mi era stato descritto da Marco, Andreas e Davide ma che avevo scelto di non provare nei giorni precedenti la gara. Non ho perso nulla né guadagnato su Mathys e i miei inseguitori, mentre Jon Albon volava quasi due minuti più veloce di me. (qui la track Strava: https://www.strava.com/activities/2433380418 ).
E questo era bene, molto bene. Ero fiducioso di poter spingere ancora un po’ nei 5km finali.
Ho preso dei rischi e ho cercato di correre nella maniera più aerea possibile, riducendo al minimo il contatto con il suolo nella facile discesa da Espinho a Miranda do Corvo. Poi l’ho visto. Christian Mathys sembrava in evidente difficoltà, affaticato nell’affrontare un’ultima, insignificante asperità su 400m di strada bianca, prima di imboccare i due km finali su strada. L’ho preso e sorpassato nell’arco di un minuto, forse meno, spingendo al massimo per scavare tra me e il mio avversario un gap più grande possibile. Ma Mathys non era della mia stessa idea.
Con una tremenda dimostrazione di forza mentale e agonismo (read: “due coglioni quadrati”) non ha mollato ed è rimasto attaccato con i denti. Ho spinto, ansimato, corso come non mai ma non è stato abbastanza. Mi ha ripassato, dopo una mia caduta negli ultimi 20m di sentiero su oltre 41km – quasi una beffa, ma che non voglio considerare un elemento essenziale ai fini del risultato. L’ho ripreso e l’ho distanziato di 15m, correndo a meno di 3’15’’ dopo 3h30’ di gara.
Christian è stato semplicemente migliore di me e a 800m dall’arrivo mi ha staccato senza che io riuscissi a rispondere ancora. Ho visto l’arco e la folla, poi non ho più avuto le energie per pensare a niente.
Sono arrivato quarto ai mondiali di trail 2019.
Ho festeggiato Jon e Julien per le loro imprese – JuJu è un’icona del mountain running, le capitaine de la France e un grande amico. Jon è un inglese trapiantato in Norvegia, enorme talento, mente brillante (qui il suo report: https://jonathanalbon.com/2019/06/10/trail-world-championships-2019/ ). Non vi annoierò oltre con la fatica del post gara, l’antidoping, il freddo e la coperta termica usata per scaldarmi, la speranza e l’attesa per i miei compagni, cose importanti ma certamente più mie.
Questo è il racconto di una giornata significativa per me in primo luogo, e per il contributo che penso di aver saputo dare allo sport. Il progetto di questi campionati mondiali di trail è nato con Tito, Paolo e i ragazzi di corsainmontagna.it circa un anno fa, da idee semplici e precise: allungare le distanze, vivere un’esperienza nuova in un contesto diverso, portare il mio stile, il mio modo di correre e interpretare questo tipo di gara. Spero anche di aver entusiasmato chi ha seguito la gara. Questo per me è importante, è ciò che fa vivere il nostro sport. Non è solo la prestazione, ma anche una storia che c’è dietro, un modo particolare di viverla, di scrivere, relazionarsi e pensare. Ora la mia stagione prenderà una direzione più consapevole e precisa.
Di lavoro faccio l’insegnante; in questi giorni, quasi a voler evidenziare il paradosso della scuola e dell’istruzione, capisco che in fondo non c’è davvero molto da insegnare ma sempre, solo tanto da imparare.
Trail World Championship 2019 – English version
I came close. So close.
After a race on the edge of my current limits and a strenuous battle in the final 2km, 10 seconds divided me and Christian Mathys for a place on the podium. That’s sport.
I worked hard and wanted that third place. As I wrote before, I wasn’t confident in any particular result before the race, but I trusted myself, my abilities and instinct. And that’s exactly how it went. My fourth place is the combination of several elements and timed coincidences, in one word: choices. To go or not to go is a choice. To wait or to push. To listen or to think differently.
When you face a long race you have time to think about the strategy, and that’s surely a big component of the final result. But what I’m referring to is the choices you make every day in your life, and this is far more important to me. Choices related to training, resting, eating, conditioning, working, reading, watching, talking. I haven’t found the key to this issue. My quest for balance constantly strikes against this thought. This is what I look to emulate in all aspects of my life, and running represents a paradigm of this perception: not a negligible component, but a solid base on which I have built my philosophy. There is no final solution: it’s a dynamic balance; nothing is forever.
My Trail Running World Championship 2019 – Trilhos dos Abutres – was probably the best I could give on that particular day, June 8th 2019.
The pace after the start felt blistering but soon after I decided to let the other athletes go. I had to run at my own pace and work my way up to the leaders slowly and patiently if I wanted to have any chance: that was clear since the beginning. As I expected, it was not a race I could control from the front, but rather from the back of the leading pack.
The first nine kilometers felt quite easy, even though I lost some precious seconds from the key positions. The trail, with a few technical difficulties, was a succession of nervous up and downs (with a tendency upwards) which I soon realized would be the leit-motiv of the entire race. I’m much more used to “ok: this is uphill; this is downhill” with a clear distinction between the two. The key of this trail race, for me, was to realize that there would be no “uphill” or “downhill” in a classic connotation of the terms, but a quite undefined combination of terrains, slopes, turns, obstacles on which you just had to pick yourself up and work your butt off: in one word, to run fast. Run fast on nobody’s territory, where if you don’t keep your concentration high enough, you end up losing a huge amount of seconds per kilometer.
I would classify myself as a climber; in fact, I am pretty weak in the downhills, especially where it’s technical, while I usually feel good during steady climbs. But mountains and running don’t need classifications. Our mindset is just can’t encompass the variety of nature, so, as humans, we tend to classify in order to better understand and give an order to the complexity we perceive.
I couldn’t help but thinking about Gloria on the side of the course. As I passed her, I caressed her hand and let a tear. I gained five or six positions on an uphill section through a eucalypt woods, running some parts with Marco and Luca, giving and receiving from them a lot of confidence; then I struggled on the most technical part of the course, where the trail followed a creek embedded in a small valley. The only assisted refreshment point of the race came soon after: just the time to grab two flasks and cross Stefano and Fulvio’s luminous gazes, passing through wings of crowd cheering the runners, and I was gone. I was in 16th position at km 16, about 2’45’’ behind the leaders, 1h20’ into the race.
I knew from that point my competition could finally set off. I pushed and pushed harder. I passed the athletes who had overtaken me in the technical descent and the Spanish champion Luis Alberto Hernando, working my way up towards the highest point of the race. I felt very nimble and light through the turns, trees and the variety of environments we passed as the kilometers went by quickly.
At the aid station of Barragem (km 29) I was in fourth place. I knew Julien Rancon and Jonathan Albon would be out of reach: too strong, too far, too expert to fade badly in the last hour of racing. My goal became Christian Mathys who had been alone in the lead for most part of the competition but that was starting to show signs of fatigue, according to the information that came from the outside. I didn’t know how far ahead he was and I was aware that I had to watch myself from the attacks of the athletes behind me, going towards the final third of the race which wasn’t for sure designed on my characteristics.
Surprisingly, I managed to keep a decent pace and I continued to feel agile in the changes of direction, jumps and difficulties of the downhills, and at the same time very strong and efficient in the uphills which I tried to push as hard as I could.
Gondramaz was the last refreshment point before another technical 4km section, which had been described to me by Marco, Luca and Andreas but that I didn’t try myself the days before the race. I didn’t lose nor gain anything on Mathys and my followers, while Jon Albon was absolutely flying two minutes faster than me (note that the segment – check Strava! – only lasted about 20’). That was good, good, good. I was confident and I could dig in some more for the final 5k.
I took risks and developed the most aerial running technique I could manage on the fast, easy downhill from Espinho back to Miranda do Corvo. Then I saw him. Christian Mathys was visibly struggling on an anonymous climb with about 400m left on the trail, before entering the final flat 2km on asphalt. I overtook him in the time span of less than a minute, quickly speeding up and willing to put as much ground as I could between me and the Swiss athlete. But he wasn’t of the same opinion.
With a tremendous display of mental toughness and agonism, he didn’t give up and remained within dangerous distance. I pushed, gasped for oxygen, whine and ran like an animal, but that was simply not enough. Not fucking enough. He overtook me again after I fell in the last 20m of trail – what seemed like a joke, but I don’t want to consider that an essential point as the fall was with no physical consequences and I quickly picked myself up. I passed him and gave him 15m. Running at 3’15’’/km pace after 3h30’ of racing felt like 2’50’’. Christian was simply better than me and with 800m to go he changed his pace and I wasn’t able to keep up anymore. I saw the arrival arch and the crowd. I didn’t have the energy to think about anything.
Christian crossed the line in third place and I was fourth at Trail World Championship. For both of us it was the first participation.
I congratulated Jon and Julien for their amazing feats – Juju is an all-time favorite of mountain running, le capitaine de la France, and a great friend. Jon is a British stud based in Norway, a huge talent and a brilliant mind (his report: https://jonathanalbon.com/2019/06/10/trail-world-championships-2019/ ).
I won’t annoy you with the laying on the ground after the effort, the antidoping, the cold, the thermal blanket I used to warm up, the hope and the wait for my teammates.
That’s the story of a special day – significant for me in first place, and for the contribute I gave to the sport. The project of this World Trail Championship was born about a year ago with Tito, Paolo and the corsainmontagna.it crew, and was based on very simple ideas: to extend the distances, to live a new experience on another surface, to bring my style and my way of running to the race. It’s not only about the result, there is something more important behind it: a story, a way of thinking, writing, reading. My 2019 season can start now.