Cannons have fired.

La stagione sui sentieri comincia, i big azzurri ancora si vedono poco — se non per uscite di “allenamento in gara” o per competizioni su terreni abituali per l’atletica classica — ma il percorso che li porta agli appuntamenti prescelti è già cominciato, nei casi più “consapevoli” è cominciato in un tempo remoto: chi sa cosa vuole e quanto lavoro deve fare per arrivarci guarda lontano, pensa nel lungo periodo e fa scelte coerenti (anche scomode, ma coerenti).

2/18 – A chinese diary

It’s endurance.

É una storia di provincia, di una Cina rurale di pianura con un affaccio sullo Yangtze e sul porto di Shanghai, ma senza il benessere (vero o apparente) delle storie di città. É un luogo di strade ampie e corsie ciclabili dove sciamano — molto spesso contromano — ridicole motorette e motocarrozzette scassatissime — per lo più elettriche (!). É un posto dove la gente zappa le aiuole urbane a mano e porta i “ferri del mestiere” con sé da casa, magari a cavallo di un bicicletta a tre ruote…

É una storiella di fine aprile inizio maggio. Tanto smog, panorami che non puoi vedere per assenza di aria tersa, casone sgarrupate che contrasta con architetture ardite “Big City Life”. Traffico e rumore, tanti rumori, clangori forti, motori, clacson, voci amplificate. Chiasso di lavoro, di occupazioni: quasi nessuno sta fermo o non ha da fare, anche se non si capisce che cosa stiano davvero facendo e come le varie attività si concatenino per arrivare ad un concreto esito finale. Non sembrano moderni Stakanov né frenetici yes men pieni di stress (tipo giapponesi stereotipati): ognuno fa qualcosa, sono gentili anche se non capiscono cosa possono fare per te, foreigner. Qualunque lingua tu possa parlare qui è ignota…

Veniamo al dunque: dove sta l’endurance? Sta negli allenamenti e nella competizione. Ma anche negli adattamenti, nell’individuare soluzioni minimizzando la fatica di metterle in atto e preparandosi al momento clou senza alterare il percorso generale. Quanto sopra potrebbe essere l’incipit del diario di un paio di settimane “cinesi” prima di un’importante competizione di marcia. Niente corsa in montagna di mezzo, ma ugualmente disciplina di lunga lena con atleti di alto o altissimo livello, tanto allenamento e giornate di diligente dedizione.

Non puoi permetterti di rovinare i mesi di duro lavoro per un fuso orario che cambia, per la desuetudine alla strada rumorosa delle 5 di mattino, per una cucina differente, per l’acqua che ha un sapore diverso e non viene da una sorgente, per il clima sempre dannatamente caldo/umido e l’aria pesante, per i percorsi che devi ancora scoprire e misurare e che non sono sempre protetti dai rischi del traffico, per la palestra che magari attrezzi utili non ne ha, per le difficoltà comunicative con i locali e con “casa” che è lontana davvero, per internet che pensi ti salvi sempre ma che non funziona affatto come in Europa, per la gestione degli spostamenti in luoghi sconosciuti dove non hai un mezzo proprio e dove chiedere informazioni è quasi impossibile, per la stanchezza nervosa di dover affrontare tanti (piccoli) cambiamenti insieme…

Non c’è un trucco per avere successo negli adattamenti, c’è alle volte una componente attitudinale a fare spallucce dei disagi (grandi o piccoli) e non viverli come un elemento di alterazione negativa di sé e del contesto. C’è però l’approccio pragmatico di chi non si limita a preparare la gara di marcia (ed ecco che per estensione apro il discorso a faticatori del mondo della corsa) ma — a monte — immagina scenari, li analizza, li esplora (almeno “sulla carta”), ne individua le criticità e ci si cala ipotizzando quali soluzioni mettere in campo. Ove possibile, ne simula l’attuazione, crea dei meccanismi e degli automatismi rispetto a situazioni di generico stress con risvolti sportivi. Ecco: essere professionali è anche questo. Non è sempre necessario ricorrere a strategie complesse o all’ausilio di strumentazioni hi-tech. Certo, lo 0,1% extra che fa un campione passa anche dall’estrema complessità delle operazioni… ma complessità non sia complicazione.

Take home message di un’avventura asiatica: cose semplici, approccio serio ma sereno. Keep it simple, take it easy.

E alla fine si stappa un Tsintao fresca: non ha il gusto della Bépete artigianale, ma se non ci pensi troppo assolve bene alla sua funzione sociale 😉

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TITO