Il mondiale salita discesa ha da sempre diviso i vertici del movimento internazionale.
Anticamente relegato ad evento minore, con il cosiddetto “cross corto”, era inviso alle tradizioni alpine centrali ed a quelle scandinave. Poi nel 1993 qualcosa è cambiato e la perfetta alternanza con la sola salita è divenuta un formidabile pendolo di emozioni e grandi storie.
In un mix tra l’editoriale tecnico e l’amarcord abbiamo rispolverato alcune “storie” a metà tra il souvenir e l’analisi tecnica, una analisi di paragone con vista sul circuito premanese. Stralci di memoria delle analisi mondiali apparse sul nostro sito, in attesa che anche il dopo-Premana regali altri frammenti di pura storia.
A Premana va in scena il mondiale numero 33 ma sarà di fatto il 13° mondiale con il format puro di salita e discesa dopo l’avvio della perfetta alternanza. La storia dice infatti che dal 1985, anno dell’esordio iridato della corsa in montagna a San Vigilio di Marebbe, fino al 1993 coinciso con l’edizione disputata a Gap, la specialità tecnica della prova regina era prevalentemente votata alla sola salita, fatte salve alcune eccezioni. All’up&down era spesso riservato di fatto quello che era chiamato “cross corto”, una formula poi abbandonata per passare a quella attuale.
Il percorso tecnico che ha portato ad un pieno riconoscimento dei percorsi “misti” ha avuto bisogno di qualche anno prima che questa regola venisse introdotta in pianta stabile dando alla formula una propria dignità, fatta anche di grande spettacolarità grazie ad un format accattivante come quello dei percorsi a circuito che garantiscono al pubblico la possibilità di assistere alle competizioni in maniera quasi integrale.
Dei 12 mondiali salita/discesa disputati da Gap’93 a Betws ‘15 è stata soprattutto la conformazione tecnica delle discese a cambiare, per andare infine a marcare ancora più quella differenza che, con l’arrivo dall’edizione 2004 delle potenze africane, si sta facendo anno dopo anno sempre più evidente.
Posizionare salite ripide e poco agevoli coadiuvandole con tratti di discesa tecnica e ripida sono elementi per molti addetti ai lavori doverosi e necessari per poter riproporre l’effettivo terreno montano e dare quindi alla competizione specifica della corsa in montagna il contenuto corretto. Se esaminiamo storicamente gli ultimi 10 anni, 2007-2017 con 5 mondiali up&down corsi tra Svizzera, Italia, Albania, Polonia e Galles noteremo come solo in due edizioni la presenza di un tratto di vera discesa tecnica abbia garantito quella sparigliatura dei valori richiamando in causa anche l’abilità degli atleti di muoversi, di gestire i cambi di direzione, i rilanci, il cambio di fondo e di pendenza, tutti elementi non pensabili la dove il ritorno alla zona di partenza è stato caratterizzato da lunghe strade bianche in sui servono garretti leggeri e motore ad otto cilindri africani.
Tappa uno come detto il 2007, Ovronnaz e l’Esa-Campeon, come all’indomani venne soprannominato Marco De Gasperi, tornato sul tetto del mondo a 3 anni di distanza dall’ultimo successo, ottenuto sotto la neve in Alaska.
Bello richiamare alla memoria le parole intrise di affetto e poesia usate dal grande cantore della Corsa in Montagna degli anni ’80 e ’90 Giovanni Viel, che cosi raccontò anni dopo quella eccezionale impresa:
Il Re Magio di Ovronnaz – di Giovanni Viel
“La corsa in montagna italiana ha ritrovato il suo “re magio” Melchiorre, quello dell’oro. A cavallo della coda di una cometa, sembrava avviato a sparire dietro il profilo dei monti della sua Valtellina, quasi condannato a ricercare quel talento che sembrava evaporato: ma nulla è più bello della resurrezione. Le sue fibre muscolari parevano irrimediabilmente compromesse, i suoi tendini – preziosi come le corde di un violino “Stradivari” – tenuti insieme con il filo di ferro: ma in Svizzera ha suonato come Uto Hughi! Marco De Gasperi si è fatto il regalo più bello della carriera, vincendo ad Ovronnaz-Saillon, centro turistico del Vallese, il suo quinto titolo mondiale di corsa in montagna. Anche lui è ora “pentacampeon” e, come i brasileri, ha fatto ballare il samba al mondo. Anzi, è “esacampeon”, se consideriamo anche l’acuto da juniores, a Telfes, nel 1996. Predestinato? Forse. Ma, certamente, i conti aperti con la sorte li ha dovuti pagare fino all’ultimo centesimo: nessuno gli ha mai regalato nulla. Se non affetto, solidarietà, amicizia. Che sono valori forti e veri ma che, di sicuro, non aiutano a far girare le gambe al ritmo voluto. 2003, l’ultimo acuto mondiale in Alaska, sotto la neve, quindi, l’anno dopo, il titolo continentale a Korbielow, in Polonia. Ed il tunnel lo ha dovuto percorrere fino in fondo, senza sconti. Quattro anni d’inferno, il morale intaccato dalla consapevolezza che il telaio non riusciva più a sostenere la potenza del motore. Sulla sua strada ecco le mani d’oro di Santino Centi, “masseur” che la Federazione mandava al seguito della Nazionale: con lui nacque un rapporto bello, anche fuori dai campi di gara, quello tra un montanaro di Bormio ed un “romano de Roma”. Con pazienza gli ha accarezzato i tendini, disciplinandoli, ed i muscoli. Il lavoro è stato lungo, ma vincente. Ed il povero Santino avrà sorriso da lassù, appollaiato su di una nuvola a discutere di tecnica e di tattica con Franco Scheggi ed Angelo De Biasi, con Mauro e Beppe Fogu, con il “collega” Giovanni Mostacchetti. Se la sono gustata tutta questa vittoria di quello che, per la corsa in montagna, è sicuramente il più grande di sempre; non hanno perso nessuna delle emozioni che il “Peter Pan” d’un tempo ha saputo regalare. E la vittoria è rimbalzata fino lassù, al cuore di Santino. Poi il lavoro con Renato Gotti, per recuperare la potenza necessaria, con la determinazione di voler tornare grande, compito che è toccato solo a lui svolgere. Ed è ritornato al momento giusto, nello splendore della sua frizzante grandezza; gli antichi fratelli eritrei ci sono rimasti un po’ male. Oddio, argento e bronzo non si buttano certo via!”
Eh si, perché la grandezza del 6° titolo mondiale del Dega sta soprattutto in questa ultima frase, quella che richiama alla memoria la vittoria ottenuta dal Bormino sugli Eritrei, vittoria costruita sapientemente resistendo nelle interminabili salite del circuito vallese ed attaccando da par suo nell’unico tratto di downhill tecnico e ripido dove il folletto della Forestale scendeva in maniera spettacolare mentre le antilopi parevano quasi ragionare sul da farsi.
Nella gara senior donne quel giorno anche una gemma statistica: a laurearsi campionessa del mondo fu la Ceca Anna Pichrtova, coronamento di una carriera incredibile, brava a sigillare il trionfo anche lei in virtù di qualità migliori come “descender”, perché alle sue spalle finì l’allora detentrice del suo primo titolo mondiale (ne arriveranno molti altri) ovvero l’austriaca Andrea Mayr, che aveva vinto l’anno prima a Bursa in sola salita, terreno su cui costruirà l’impero che tutti conosciamo, e che nel 2007 prese parte al mondiale up&down, evento raro che a Premana si ripeterà.
Anche questo racconta di come e perché il prossimo sarà “il mondiale dei mondali”.
Di ben altro tenore i racconti dopo il mondiale 2009 di Madesimo-Campodolcino, ma qui è anche la suggestione per i ricordi di emozioni contrastanti tra la gioia per la vittoria junior di Xavier Chevrier, la rabbia ed il dolore per il caso Desco (sul quale noi siamo ancora nettamente e convintamente schierati con la sfortunata protagonista, questo a scanso di equivoci), o la cocente batosta rimediata nella gara Senior Maschile dove è derby Uganda-Eritrea dal primo metro.
A noi rimangono le briciole, raccolte da un commovente Berny Dematteis, al primo di una sfilza di legni incredibili.
I migliori Italiani avevano ammonito un mese prima i vertici federali su un tracciato a loro dire caratterizzato da discesa più da cross che da corsa in montagna, la prova fu lampante quando Geoffry Kusuro, gia iridato JR a Ovronnaz nel 2007, si bevve l’ultimo giro volando letteralmente sull’Alpe Motta con alle calcagna l’eritreo Azeria Teklay Weldemariam ed il compagno di squadra James Kibet .
Più pathos ed incertezza sicuramente nel 2011, quello per intenderci del “Miracolo di Tirana”, anche qui è simpatico tirare fuori dal cassetto uno spezzone già utilizzato in chiave amarcord, perché certi film a volte è bello rigustarseli a distanza di anni:
“Il miracolo di Tirana” – corsainmontagna.it settembre 2015
“Non fosse stato per quell’anniversario, nessuno avrebbe scommesso un dollaro su di una doppietta a stelle e strisce. L’11 settembre 2011, tra la polvere di Tirana, il gran giorno di Max King e di Kasie Enman, carneadi magari sino a quel momento per la montagna, ma nomi comunque già noti nell’universo atletico inteso in senso lato. Di lì in poi, per entrambi, carriere spesso spese lontane dai confini della corsa in montagna, per cercare gloria ora su strada, ora su pista, ora nel cross, ora nel trail, ora nello skyrunning. E trovare magari sulla propria via un altro titolo iridato: Max King e quel successo mondiale, più unico che raro, anche nella 100 Km su strada.
Per lo yankee americano, quella di Tirana fu gara tutta all’attacco, sebbene ancora a poche centinaia di metri dal traguardo pareva che il successo potesse essere tutto ugandese. Poi, complice caldo e disidratazione, il crollo, nel vero senso della parola, di Thomas Ayeko che il titolo pareva poter avere già in tasca e con lui di buona parte dei suoi connazionali che avevano dominato per due terzi di gara. Per i gialloneri africani, predominio soltanto sarà rinviato di qualche tempo, mentre l’Italia festeggiava allora il suo ultimo oro iridato tra i seniores maschili. Merito dell’incredibile bronzo di Martin Dematteis, ma anche del quarto posto – il terzo della serie – del gemello Bernard e del quinto di Marco De Gasperi. Con loro, Gabriele Abate (14esimo), Emanuele Manzi (16esimo) ed Alex Baldaccini (24esimo), mentre il turco Ahmet Arslan faceva suo l’argento individuale e pure quello a squadre.
Albania, Italia d’oro anche al femminile, sebbene senza troppi acuti in ambito individuale: squadra però compatta come sempre, con Ornella Ferrara settima, Antonella Confortola ottava, Alice Gaggi nona e Valentina Belotti quattordicesima. Alle spalle della Enman, argento per la maratoneta russa Elena Rukhlyada e bronzo per la francese Marie Laure Dumergues. Tra gli juniores, per gli azzurri, si ricordano specie il bronzo della squadra maschile e il quinto posto di una delle grandi speranze della corsa in montagna attuale, il trentino Cesare Maestri.”
Due anni dopo si vola in Polonia, tocca a Krynica Zdroj, l’8 settembre 2013.
Percorso, come detto, non troppo tecnico, ma sufficiente per esaltare chi sino a quel giorno mai aveva sognato di conquistare un titolo iridato. E’ Il grande giorno di Alice Gaggi, che in un clamoroso finale rimonta anche la britannica Emma Clayton, dopo aver a lungo seguito la scia di un’altra azzurra, Elisa Desco, che chiuderà invece con la medaglia di bronzo. Si parlerà a lungo di quel mondiale Senior donne, meno di quello uomini dove è ancora una interminabile onda nera, quella Ugandese del trenino Kiplimo-Kusuro-Ayeko-Kibet, ritratti in maniera simbolica da una nostra foto mentre appaiati volano sulla larga strada bianca polacca, ritmi quasi da strada e A1 da maratona ai piedi. Dietro, manco a dirlo, sbuca il testone imbufalito di Bernard Dematteis, altro giro altro legno altro regalo…ma i tempi sono maturi.
Maturi per l’impresa del 2015, quando il “legno del galles” come lo definimmo dopo la serie impressionante di quarti posti, diverrà infine oro per i Senior Men grazie proprio all’impresa di Re-Mida Berny. Non è oro individuale, naturalmente, ma lucente e bellissimo lo stesso perché arrivato su un saliscendi ancora un tantino “farlocco” (la discesa era una barzelletta) ma punendo questa volta severamente gli Ugandesi, che pure festeggiano un altro world champion, quel Fred Musobo che tra l’altro a Premana rivedremo da molto vicino.
Il Capolavoro dei gemelli Dematteis quel giorno sulla collina di Betws-Y-Coed è una delle pietre miliari della nostra corsa in montagna, cosi scrivemmo all’indomani:
“Il Legno del Galles, trasformato in oro da Re Mida Bernard” – corsainmontagna.it settembre 2015
“Capitan Futuro, finalmente! subito dopo la gara, quando è stato possibile avvicinarlo per scambiare le primissime impressioni a caldo, abbiamo assistito ad una rapidissima intesa tra Berny e Paolo Germanetto: ad entrambi è venuto il piccolo dubbio che forse quella partenza fosse stata addirittura troppo azzardata, sebbene anche un poco figlia dell’adrenalina che c’era in corpo…riordinando le idee qualche ora più tardi è apparso invece chiaro che probabilmente è stato uno degli elementi che ha fatto saltare il banco. Non sapremo mai che tattica avessero impostato gli ugandesi, di sicuro Bernard Dematteis li ha stanati da subito ed ha impedito loro di fare gara in parata come nel 2013 in Polonia ed in parte nel 2014 a Casette di Massa. Il nostro capitano aveva in ogni caso condizione forse buona come non mai, con discesa un poco più tecnica chissà come sarebbe andata, ma quello del percorso non è e non vuole assolutamente divenire un alibi, anzi è elemento di grandissimo orgoglio per tutti i tifosi italiani: i nostri atleti hanno saputo primeggiare e tenere testa egregiamente in tutte le categorie contro squadroni e tradizioni tecniche che su questo tipo di tracciati hanno costruito la propria storia. Poco sotto a Bernard ed al suo argento ecco un Martin stellare, perché dire altro d’altronde, il ragazzo ha affrontato la stagione più difficile della sua vita, messo a dura prova dalla nota tragedia umana che lo ha colpito. Qui la forza del gruppo nei mesi scorsi è stata fondamentale, il resto ce lo ha messo lui, impegnandosi a fondo per tornare quanto più vicino ai propri livelli, che il mondiale ha confermato essere assoluti. Il 4° posto è in linea col talento e col cuore, non con l’attuale stato di forma, e per questo vien da dire che sia stato piazzamento frutto di un mezzo capolavoro tattico, con un primo giro a fare da “tappo” al gemello involatosi all’attacco, per poi andarsi a giocare la medaglia nel finale contro Robbie Simpson, una manciata di secondi lo hanno condannato a stare ai piedi del podio, ma signori: chapeau per Martin!”
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