Chapter four – The climb

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E così ci hai accolto, Mount Washington, ci hai lasciato salire lungo il tuo crinale, ci hai regalato una giornata indimenticabile oggi, 18 giugno 2016. Una esperienza che per me va molto al di là del risultato; credo sia così anche per Tommi.

La Mount Washington Road Race è durissima, la salita non molla mai e le pendenze sono sempre molto elevate per essere una corsa su strada. Per chi ha avuto la fortuna di correrla (ora purtroppo non c’è più) a me e a Tommi è sembrato simile a mettere in fila per tre volte i 4km più duri della Scalata della Maddalena. Il paesaggio è mozzafiato: si parte in leggera discesa; dopo solo un centinaio di metri si è già sulle prime rampe della salita, che si addentra tra gli alberi della White Mountain National Forest con pochissimi tornanti, per la maggior parte dritta verso la vetta. Gli alberi ci accompagnano fino a metà dell’ascesa; nella seconda parte il paesaggio è ancora più spettacolare e mi ricorda la tundra svedese, con arbusti, licheni e piccoli abeti che paiono non avere la forza per crescere di più. Il panorama si apre e permette di ammirare l’orizzonte, che a volte si estende fino all’Oceano. La vetta è ampia e rocciosa; vi si trovano la stazione meteorologica, un piccolo museo e pochi altri edifici, oltre alle indicazioni per diversi sentieri, tra cui il famosissimo Appalachian Trail.

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Tommi è salito sul podio, terzo in 1h01’41”. Io sono quarto in 1h03’57”. Ha vinto Joe Gray, per la terza volta di fila, con 58’15”; secondo il ragazzo del Connecticut, Eric Blake, anche lui sotto il muro dei 60′ (59’47”).

La mattina della gara la sveglia non suona prima del solito. Facciamo con calma colazione ma è subito un altro pensiero a prendere il sopravvento: seguo gli aggiornamenti del mondiale di lunghe distanze in Slovenia, dove sono impegnati diversi miei amici. La situazione si sta mettendo decisamente bene, e questo basta a risvegliare un fuoco mai assopito dentro di me… poco dopo, Rambo è campione del mondo. Rambo è campione del mondo! Marco è secondo, così come Antonella nella gara femminile. Attimi di luce iridata.

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Preparo lo zaino, non serve molto se non qualcosa per coprirsi in vetta, dopo la gara. Le condizioni climatiche paiono perfette e il cielo è solcato solo da qualche nuvola bianca. Si percepisce una leggera tensione, soprattutto da parte di Joe, mentre io mi sento abbastanza tranquillo. In competizioni come questa ho sempre un po’ paura della fatica che mi aspetta proprio perchè so che non lasciano respiro, non hanno la variabilità e gli imprevisti di una classica corsa in montagna sui sentieri.

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Il campo gara è una distesa di tende, gazebo e runners in outfit colorati, oltre alla fila di auto in attesa di accedere alla Mount Washington Auto Road. Jim si prepara per un allenamento con la sua bici da cronometro, dopo aver lasciato me, Tommi e Joe alla partenza e “nascosto” le chiavi dell’auto gettandole malamente accanto a una ruota!

vaccioJoe parte a un ritmo insostenibile, dopo poche centinaia di metri è già nettamente in vantaggio. Stimo il suo passaggio al primo km attorno ai quattro minuti, mentre io, Tommi e Eric Blake siamo piuttosto vicini, staccati di circa 30”. Anche Eric cambia passo con apparente facilità e dopo una decina di minuti saluta la compagnia di me e Tommi, che proseguiamo appaiati fin quasi al quinto km. Le mie sensazioni di spinta e efficienza dei primi km si affievoliscono a poco a poco: capisco che sarà una gara difficile, ma cerco di non perdermi d’animo. Non voglio distogliere l’attenzione dalla fatica, perchè sebbene sia al limite del sostenibile oggi voglio viverla fino in fondo. La strada si inerpica con lunghissimi rettilinei che mi permettono di vedere Joe allontanarsi sempre di più, Tommi e Eric a ragionevole distanza, e dietro di me il vuoto. Ognuno corre solo, in una relazione personale con la salita.

landscape mount Non è tanto una gara in montagna, quanto piuttosto una gara in salita, in cui essa viene esaltata in tutta la sua durezza, nudità, asprezza. L’asfalto, l’aria secca, la polvere; la fatica di mettere un passo davanti all’altro, i quadricipiti che si contraggono e diventano più magri, la schiena che si piega in avanti assecondando la pendenza. Nella seconda parte di gara lotto con qualche problema di stomaco, ma riesco a mantenere un ritmo accettabile anche su pendenze che spesso sfiorano il 20%. Sono felice e basta di avercela fatta fin lì. L’arrivo è un bagno di pubblico arrampicato sui massi di granito ai lati della strada. Manca il fiato, ma non serve più. Qualcuno mi getta una coperta bianca sulle spalle e mi sostiene in piedi. Vedo Joe e Eric e sento la loro stretta di mano, vedo Tommi, visibilmente emozionato, che mi dice qualcosa che non ricordo più.

finish

Ritrovo la mia famiglia americana in cima a Mount Washington. Quasi da non credere, esserci ritrovati proprio lì. Gli arrivi sono quasi terminati quando alle 12 la strada viene riaperta alle auto per scendere. Il tempo di scattare qualche foto, di scrivere il mio nome sul libro del rifugio in vetta e mi ritrovo a percorrere in senso inverso i 12,2km di gara, questa volta in discesa, in auto. Alla partenza nel frattempo gli organizzatori hanno preparato una festa per tutti gli atleti, con cibo, musica, stands, fun; poi le premiazioni, i sorrisi, i ringraziamenti…

selfie pompage

Mi è rimasta tanta voglia di riprovarci, immediatamente dopo aver tagliato il traguardo. Sapevo di valere qualcosa meno come tempo, ma sapevo anche che non tutti i giorni posso chiedere al mio corpo di essere al massimo della prestanza fisica. Rimango con la bella sensazione di essere venuto fin qui e di aver dato il massimo, di essere con Tommi, un compagno speciale per questa gara, di aver promesso a Jim che tornerò a trovarlo, tra qualche anno, e di poter trascorrere qualche giorno di vacanza viaggiando lungo la East Coast verso sud.

Buonanotte!

Puppinho ​

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