Poche ore e sarà sfida tricolore, un’occasione unica come quella del primo campionato Italiano Assoluto corso in Valle Po per tracciare un ritratto inedito e diverso dal solito dell’Atleta e Personaggio del Momento: BERNARD DEMATTEIS. Non lo abbiamo intervistato questa volta, ma in un viaggio fatto di flashback ed emozioni proviamo ad entrare più a fondo dentro la nuova icona del mountain-running azzurro… DI ALEX SCOLARI Gli occhi di un bambino vedono solo la verità, puoi raccontargli quello che vuoi, e forse per un po’ ci crederà, ma ciò che i suoi occhi vedono è pulito dalle malizie dei cosi detti adulti, che la realtà tanto amano mistificare, quasi fosse (e lo è) la prima regola del “mercato”. Del mercato Bernard Dematteis, per tutti Berny, campione Italiano ed Europeo in carica di corsa in montagna, penso se ne sia fatto un baffo fino a ieri l’altro, quanto agli occhi, bhe, se è chiaro che un bambino non lo sia più da anni, quel filtro ideale sulle proprie retine lo ha mantenuto.
La prima volta che udii veramente echeggiare il suo nome davanti ad una folla fu nella tarda primavera del 2008, in Piazza Mercato a Domodossola. Tra i presenti era ovviamente arcinoto ai più, l’evento era infatti quello della prima prova dei campionati italiani di corsa in montagna ed il “ragazzo” circolava da tempo sui taccuini degli addetti ai lavori. Già nazionale allievi, già Juniores, già molte cose ma non ancora un “nome” che andasse oltre gli addetti ai lavori e bucasse anche sui tifosi. Quel giorno cominciai anche io, semplice tifoso, a riconoscere la falcata da puledro e l’incedere arrembante che lo fa sempre sembrare all’attacco anche quando sta recuperando, ed insieme a me tanti si resero conto che qualcosa stava cambiando in questo “piccolo mondo antico”. Il 2008 dicevamo, dal vangelo della Corsa in Montagna azzurra si dice che in quel tempo il movimento era giunto al suo punto di effettivo non ritorno. Un anno prima sulle montagne svizzere di Saillon-Ovronnaz Marco De Gasperi aveva vinto il suo 6° titolo mondiale, dimostrando a tutti che non era finito ma anche lanciando il suo personale commiato ad un mondo che lui aveva portato fuori dal ghetto delle sagre di paese (pur rimpiante dai più), e fatto diventare uno sport da mettere sulla mappa. A colpi di imprese memorabili e titoli iridati l’atleta di Bormio ha dato onore e merito ad almeno due generazioni di grandissimi atleti che per non meno di 20 anni avevano costruito mattone su mattone il mito di una tradizione e di una scuola che poco abbiamo saputo valorizzare e che oggi stiamo cercando affannosamente di recuperare anche mediaticamente. Quando il giorno dopo Ovronnaz e l’impresa di battere gli atleti africani leggemmo sui giornali le dichiarazioni di Marco in pochi capimmo che quello era il commiato da un certo tipo di competizioni. Vincere tutto ti porta alla ricerca di nuove sfide, e quelle sfide divennero gradualmente il trampolino che portò De Gasperi a confrontarsi anche su altri palcoscenici, come oggi sta chiaramente avvenendo, si trattava però di trovare un senso di continuità per il movimento, e la cosa non appariva cosi scontata o semplice. << io stanco ma visto Dematteis e allora stato con lui, eh eh, lui giovane, testa dura, sempre non mollato e portato sotto >> …. Svizzera, Crans Montana, settembre 2008, a pronunciare queste telegrafiche parole ai microfoni del post-gara è Jonathan Wyatt, il mito Jonathan Wyatt, che nella maniera più inattesa ha appena vinto il suo 6° titolo di campione del mondo al termine di una rimonta incredibile, in cui nemmeno lui credeva più, salvo non essersi accorto in gara che quel giovane italiano dalle gambe lunghe ha un cuore che fa provincia e che nella seconda parte di quell’inferno in mezzo ai filari di vite ha messo su un ritmo che potrebbe anche farli rientrare sull’Ugandese Toroitich e sul Turco Arslan che a metà gara han salutato e se ne sono andati a giocarsi il mondiale. Rientrare rientrano, ma a Berny, che ha dato tutto, appare la madonna mentre Wyatt incredulo ringrazia ed infila i due battistrada nel km finale entrando a Crans Montana in trionfo. Al ragazzo rimane un 4° posto al suo primo mondiale Senior, buttalo via, ma soprattutto il rispetto del gotha mondiale, conquistato da sbarbato assoluto, essendo semplicemente se stesso. Da Domodossola a quel giorno di pioggia Svizzero son passati solo 3 mesi ma nel frattempo il nome di Bernard Dematteis è diventato una costante. In Italia hanno imparato tutti a leggergli il pettorale, quello sulla schiena, perché ha preso l’abitudine non solo di stare sempre davanti, ma di rimanerci anche quando compare la scritta “arrivo”. Titolo Italiano, senza se e senza ma, ed un Europeo corso da protagonista, attaccando all’arma bianca Ahmet Arslan fin dal primo metro di un nervoso e veloce tracciato collinare disegnato nella foresta nera in Germania. Argento, alla fine, perché nell’ultimo giro è semplicemente “saltato per aria”. Tutti i presenti quel giorno a Zell Am Harmersbach, tecnici, giornalisti, tifosi, assistono però ad uno spettacolo addirittura palpitante e capiscono che in quel ragazzo c’è qualcosa di unico. La sua leggenda era già nata ! Essere o Avere sono due modi diversi di misurare il valore che si attribuisce ai “contenuti” della nostra vita, i titoli in quanto tali da soli non sempre fanno la differenza. Quando si parla di uno sportivo può apparire un’affermazione azzardata, quando si parla di un atleta di corsa in montagna Italiano esploso a cavallo del cambio generazionale ed epocale che il movimento ha vissuto negli ultimi anni assume invece un significato più profondo. Nel 2009, alla vigilia dei Mondiali di Madesimo, ebbi l’onore di intervistarlo per www.corsainmontagna.it , l’intervista doveva soprattutto lanciare l’evento clou che chiudeva la stagione ma mi permise anche di scavare un po’ nel personaggio. Quando gli chiesi perché e con quale spirito affrontasse anche l’impegno nel cross dopo la dura stagione di corsa in montagna mi rispose senza tentennamenti che oltre al piacere impagabile di fare quello che più adora, correre, sentiva una spinta motivazionale fortissima a dimostrare che il valore assoluto degli atleti della sua disciplina di riferimento non fosse inferiore a quello delle altre specialità dell’atletica. Un concetto che da solo mi diede la misura e lo spessore di Bernard. Una voglia di vincere sconfinata, una cattiveria agonistica perfettamente gestita, ma anche una sensibilità ed una grandezza interiore che solo i grandi ed i predestinati possiedono. Fu durante quella chiaccherata che mi convinsi di qualcosa che poi i fatti mi hanno dimostrato: lui era il “prescelto”. Alfonso Valicella la prima icona, Faustino Bonzi il primo specialista vero, Antonio Molinari il primo personaggio, De Gasperi la consacrazione e la rivoluzione , dietro di loro intere generazioni di campioni, di atleti universali, di storie e leggende che di uno sport povero e fatto di immani fatiche hanno comunque costruito quello strato storico su cui tutto il mondo che oggi vediamo rimbombare tra siti, riviste e social network è in qualche modo la conseguenza. Mi piace sognare ed immaginare che esista da qualche parte sulle Alpi un cofanetto ideale in cui un altrettanto metaforica e simbolica chiave viene custodita. I veri appassionati di corsa in montagna a questo punto “sanno” che da qualche parte in giro per le montagne d’Europa, qualche anno fa, Marco De Gasperi quella chiave ha deciso di riporla sereno, conscio che poteva occuparsi finalmente solo della propria carriera perché qualcuno ora sarebbe andato per quella stessa strada a prendersela per schiudere altre porte. La parabola tecnica del gemello di RORE è ancora nel suo pieno fulgore, l’ultimo lustro ne ha certificato la solidità mentale, la continuità di risultati, la capacità di migliorare e di trovare continuamente nuovi stimoli. Titoli Italiani, individuali ed a staffetta. Record del mondo sul Km Verticale, oro mondiale ed europeo a squadre, le prime esperienze nelle gare lunghe, il domani d’altronde è tutto da scoprire….. Ora però altro flashback: siamo qui, Luglio 2013, è sera, fa fresco, siamo ai 1350 metri di Borovets, una piccola stazione sciistica immersa nelle foreste Bulgare del comprensorio del Musala Peak. Passeggio nervosamente davanti alla Hall del Grand Hotel Rila cercando cosi di ingannare il freddo mentre aspetto che Bernard Dematteis termini la sua telefonata. E’ al cellulare da 10 minuti con il suo allenatore, Giulio Peyracchia, che deve averlo chiamato e che credo stia spendendo un capitale a favore di vodafone. Berny è fuori dalle grazie, cammina, o meglio scalpita, su e giù mentre in maniera concitata continua a ripetere la tattica di gara, come se a correre su per le piste da sci del Musala domattina debba andarci Peyracchia contro i gli Inglesi ed i Turchi…già i turchi, o meglio un Turco….Ahmet Arslan, campione d’Europa per 7 volte consecutive, una sentenza continua e tante, troppe volte, la prima vittima proprio lui, Berny…. Il giorno dopo, nella baraonda che si era creata dopo le gare, riuscii a strappare 3 minuti di video intervista, con gli occhi lucidi ed una bandiera tricolore avvolta a mantello Berny guardò in telecamera e semplicemente concluse : << ad un certo punto ho accusato un po’ di stanchezza, lui si è fatto sotto, l’ho affiancato, l’ho guardato, mi sono detto ”no caro Arslan, mi dispiace, ma oggi non ce n’è per nessuno” >>, me l’avesse detta un altro quella frase forse avrebbero visto una telecamera volare dalla finestra dell’hotel, ma quegli occhi erano quelli del bambino, quelli che non vedono malizia, quelli che vedono la verità. Sulla linea di partenza ad Oncino, nella sua valle Po, si presenta di certo un Bernard uomo, e non più bambino. A 28 anni e con un esperienza ad altissimo livello già consolidata entra nel momento più importante della sua carriera. In una storia come la sua, fatta di continui inizi, di continui decolli verso nuove ed inesplorate vette, è bello siano le sue montagne ha tenere a battesimo il momento in cui, non più solo idealmente, venga da tutti riconosciuto come il faro e l’uomo simbolo che guiderà il movimento da qui in avanti. Vada come vada la prova di Oncino, sarà come fossimo alla fine dell’attimo fuggente, e giusto nel bel mezzo delle premiazioni potremmo anche vedere i suoi compagni di nazionale alzarsi in piedi e gridargli “CAPITANO, MIO CAPITANO…” Alex Scolari Photo credits: ©Castle-Mountain-Running Arco (TN) ©Jacky-Tamellini ©Skola ©Luca-Bonomelli ©Marica-Martinelli ©www.corsainmontagna.itHome page » Oncino tricolore – UN VIAGGIO NEL MAGICO MONDO DI “BERNY DEMA”
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