Un elemento fondamentale e integrante dell’allenamento è sicuramente il riposo. Spesso non viene data la giusta importanza a quello che può essere definito anche come “recupero”, ossia il periodo di tempo che intercorre tra una gara ed un successivo allenamento di carico oppure tra due sedute di allenamento ad alta intensità (se il ragionamento si attesta su termini di microciclo), oppure ancora alla settimana che precede un avvenimento importante dopo un periodo di carico, ragionando in questo caso su di un orizzonte temporale più ampio. Obbiettivo finale è il non incorrere in quello che viene definito, talvolta anche abusando un po’ del termine, come “overtraining”. Esistono esempi di atleti, anche di alta qualificazione e con passato spesso coloratosi di azzurro, che non adottano questa alternanza di momenti, ripetendo quotidianamente lo stesso esercizio ad intensità medio-alta. Di certo questo non rappresenta un modello da seguire… Ma quali sono i giusti momenti, i tempi in cui è corretto “mollare l’acceleratore” o quelli in cui è invece preferibile aumentare l’intensità degli allenamenti? Di sicuro ogni organismo risponde in modo differente agli stimoli dell’allenamento sia per proprie qualità, sia per fattori esterni all’allenamento. Stile di vita quotidiano, tipo di professione, e quant’altro ancora. Ciò che è certo, in ogni caso, è che nessuno sarà comunque in grado di allenarsi in modo efficace senza rispettare i giusti tempi di recupero.
La supercompensazione Rispettando in maniera corretta i tempi di recupero, ecco che più agevole diventa l’innesco di un meccanismo molto importante: la supercompensazione. Non è altro che un processo di reazioni fisiologiche all’allenamento o ad un periodo allenante che ha come risultato finale il raggiungimento di un potenziale fisico, in termini di forza e rendimento, superiore rispetto a quello che si aveva prima dell’allenamento o del periodo allenante. A seguito di un allenamento intenso o di una gara, il nostro organismo entra in una fase di alterazione dell’omeostasi, ossia il periodo in cui il nostro corpo, a riposo, è in una situazione di equilibrio. Questa variazione porta ad una situazione di affaticamento, che impedisce all’organismo di essere efficiente come prima. E’ questo il momento in cui è giusto non insistere, ma lasciar riposare il corpo. Infatti esso reagisce in modo da ristabilire le potenzialità neuro muscolari e le riserve energetiche ad un livello non solo pari a quello precedente l’allenamento intenso-gara ma addirittura superiore. Ecco che si innesca così l’effetto allenante.Overtraining
Ma come capire quando questi tempi non siano stati rispettati o per vari motivi non si riesce più ad ottenere l’effetto allenante? Anche in questo caso la condizione è molto soggettiva ma i nostri “corpi” rispondono quasi tutti in maniera simile. Ci forniscono dei segnali che potrebbero farci rientrare in questa condizione. Essa “colpisce” indifferentemente l’atleta che corre a livello amatoriale così come il professionista, pur lavorando quest’ultimo con una mole di lavoro differente. Il primo campanello d’allarme è rappresentato dalla qualità del sonno, che peggiora drasticamente, che porta ad entrare in uno stato di stanchezza cronica. A ciò è spesso associata l’inappetenza giungendo ad uno stato definito come astenia. Stesso discorso vale per la frequenza cardiaca a riposo, che tende ad aumentare. Se poi si volesse entrare maggiormente nello specifico sarebbe sufficiente andare ad analizzare i parametri ematici per scoprire variazioni rivelatrici di problematiche compatibili con l’overtraining.
Tempi di recupero – tra un lavoro ed un altro…
Avessimo in mano la soluzione ideale per ogni atleta e per tutti i tipi di gara avremmo certo trovato la soluzione del problema principe dell’allenamento, che è invece anche e soprattutto ricerca e scoperta continua… Certo, con l’esperienza di ciascuno, possibile trovare delle soluzioni ottimali, ma assiomi di partenza rimangono la necessità di saper ascoltare le proprie sensazioni e di un confronto continuo tra tecnico ed atleta per adottare di volta in volta gli accorgimenti più opportuni. Quanto sopra, dal nostro punto di vista, importanza ancor maggiore assume quando si tratti di corsa in montagna, laddove le variabili che di volta in volta entrano in gioco sono di gran lunga superiori rispetto alle prove su piano. In termini generali, se buona organizzazione di lavoro può prevedere alternanza di lavoro specifico a lavoro più classicamente ascrivibile al mezzofondo prolungato e alternanza di lavoro continuo a lavoro frazionato, chiunque può aver sperimentato che talvolta tra due lavori molto intensi sia nella nostra specialità necessario inserire tempi di recuperi più lunghi rispetto a quanto solitamente suggerito. Esempi di tempi di recupero diversificati in base al tipo di allenamento:
Tabella 1 Tempi di recupero muscolare negli atleti (da Vincere la fatica, Sport & Medicina, 2004):
Tipo di allenamento | Tempo di recupero |
Estensivo della resistenza | 12 ore |
Intensivo della resistenza | 24 ore |
Resistenza alla forza | 24 ore |
Allenamento della forza massima | 36 ore |
Tabella 2 Tempi di rigenerazione nei processi di recupero (da Vincere la fatica, Sport & Medicina, 2004).
Processo | Tempo di recupero |
Ricostruzione delle riserve di creatinfosfato | 4-5 minuti |
Riequilibrio stato acido-base e diminuzione lattato | 30 minuti |
Passaggio da catabolismo ad anabolismo | 90 minuti |
Ricostruzione glicogeno epatico | 24 ore |
Ripristino proteine contrattili | 4-5 giorni |
Volendo esemplificare, ecco un paio di soluzioni da noi adottate:
In due giorni successivi:
Lavoro di forza + corsa media (variata o continua) il giorno successivo, ad esempio:
sprint in salita il primo giorno, 12 Km di medio variato il secondo
Altro esempio, ma da ben calibrare data l’intensità dell’impegno richiesto…
Corsa su condotte il primo giorno, ripetute brevi, oppure fartlek, il secondo (es: 12×500 mt oppure 15×1’+1′)
Dopo lavoro specifico (es. fartlek su tracciati di corsa in montagna):
Prima di altro lavoro molto intenso, preferibile forse recuperare un giorno in più, a meno che – ed è scelta spesso utilizzata – il secondo lavoro, meno specifico, sia decisamente meno intenso del primo. Avendo magari l’accortezza di invertire la priorità allenante la settimana o il microciclo successivo…
Dopo lavoro in salita:
Anche qui molto è legato alle caratteristiche e abitudini individuali, ma si è soliti affermare che i tempi di recupero possano essere più brevi rispetto a quegli allenamenti in cui siano inseriti anche tratti di discesa. In linea generale, a noi talvolta non dispiace inserire un primo lavoro di intensità non esasperata già due giorni successivi l’allenamento specifico di salita, riservando poi allenamento di più alta qualificazione alla seduta intensa successiva.
Settimana pre gara:
Il tema, in qualche modo, già lo avevamo sfiorato in altra trattazione. Se valido rimane il dettato che più si debba scaricare in proiezione di prova di sola salita rispetto a prova di salita e discesa, in questo ambito per davvero si entra nel soggettivo. Correre in montagna, affrontare salite intense, molto tocca anche la sfera mentale: la sensazione di “leggerezza” che solo scarico di certa importanza può dare, forse e alla fine, anche sotto l’aspetto mentale può dare molto di più che non la ricerca di un ultimo allenamento di rifinitura…Proprio per questo, se consci di aver ben lavorato in precedenza, preferiamo talvolta proporre un’ultima settimana fatta di qualche riposo e di buona mole di “allunghi”, con un solo allenamento di più alta intensità, peraltro non esasperato. Ascoltando certamente più le proprie sensazioni che non il cronometro. Quello, certe volte, può addirittura essere lasciato a casa….
Emanuele Manzi – Paolo Germanetto