Dagli aspetti tecnici a quelli politici, dalle imprese degli atleti alle difficoltà organizzative Il Mondiale degli azzurri, quello degli Stati Uniti, e pure quello della Turchia: così vi abbiamo descritto la rassegna iridata di Tirana appena andata in archivio. Ma pure vi avevamo anticipato che sul tema saremmo tornati, armati di uno sguardo che avrebbe cercato di dare visione complessiva del primo sbarco della corsa in montagna in territorio albanese. Ancor prima di iniziare l’analisi, un fatto ci preme sottolineare: il nostro grande apprezzamento per l’impegno dell’Albania nel provare ad allestire evento sportivo che, in primis, voleva essere lo spot promozionale di una Nazione che forte sta investendo sulla propria vocazione turistica. Apprezzamento allora per l’impegno politico e l’entusiasmo con cui l’Albania ha ospitato la rassegna iridata. Positivo il segno per l’accoglienza tributata alle Nazioni presenti o per una cerimonia d’apertura sino in fondo capace di testimoniare il supporto istituzionale gravitante attorno alla manifestazione. Ma non questo il punto. Perché, a conti fatti, anche la passione più genuina, anche il supporto politico più forte finiscono per non poter essere appieno valorizzati se non si viene messi nelle condizioni di poter esprimere tutte le proprie potenzialità. Magari con percorso preventivo di crescita, magari con un sostegno che – ormai è fatto acclarato – la WMRA da sola non è in grado di fornire. Anche la più bella cartolina, anche l’entusiasmo più contagioso, insomma, necessitano di sostanza spiccia su cui poggiare. Puntando senza fronzoli verso il nocciolo della questione, per questo allora ci domandiamo se lecito sia sacrificare anche le più elementari questioni tecnico-logistiche in nome degli alti onori riservati ai piani alti della federazione internazionale. Portate pazienza, considerate pure limitata la visione, ma in fondo la nostra è vocazione operaia. E dunque, a domanda esplicita, risposta negativa. Portare la massima rassegna internazionale in un Paese privo di tradizione – tanto più organizzativa – non solo nella corsa in montagna, ma nell’intero panorama atletico internazionale, apparteneva all’ambito delle scommesse sin dal parto dell’iniziativa. Se l’azzardo si misura sull’accoglienza tributata dal primo ministro albanese Berisha alla presidenza mondiale della disciplina, scommessa vinta, e pure a pieni voti. Ma se si misura invece sui piccoli e meri aspetti che più a cuore stanno a chi magari investe anni di preparazione e di crescita personale, scommessa persa e sufficienza lontana. Doveroso rispettare lo sforzo del Comitato Organizzatore, ma rispetto meritano anche i protagonisti principali della rassegna, che – forse giova ricordarlo – rimangono sempre e comunque gli atleti. Fatte le debite proporzioni e tornando indietro di qualche settimana soltanto, dire si può che non manchino immagini che rimandino agli incontri tra Lee Myung-bak, presidente della Corea del Sud, e Lamine Diack, presidente invece della IAAF. Massima autorità coreana presente anche alla cerimonia di inaugurazione dei recenti Mondiali di atletica, ma poi, a Daegu, nulla è stato fatto mancare agli atleti in termini tecnici e organizzativi? Quando, anche da queste pagine, ci trovavamo a chiedere e promuovere maggiore attenzione mediatica sulla corsa in montagna, di certo ipotizzavamo situazione in cui certe garanzie organizzative fossero ormai consolidate. All’indomani di questo Mondiale, anche alla luce di svariati commenti registrati non solo in ambito nazionale, ci chiediamo se promuovere questo tipo di corsa in montagna non diventi anzi un boomerang per lo sviluppo della specialità. Non occorre andare lontano, ma solo dare un’occhiata alle prime fotografie e ai primi video della manifestazione. Sono loro a rimandare ad una zona di partenza e di arrivo spoglia come spesso ormai neppure in manifestazione di carattere provinciale, sono loro a testimoniare il fatto che si sia corsa parte delle gare in mezzo a cantieri aperti o tra nuvole di polvere capaci di complicare ulteriormente lo sforzo di atleti già provati dalla gran calura della tarda mattinata tiranese. E se i tracciati di gara si sono poi rivelati assai più tecnici e completi di quanto ipotizzato sulla base delle informazioni diffuse in Italia, certa impressione ha destato lo scoprire che i tratti di raccordo tra i giri non prevedessero la benché minima organizzazione – due birilli, mezza transenna?- per separare gli atleti in salita da quelli in discesa. Una zona di gara, questa, talmente confusa da divenire peraltro teatro di errore di percorso per i quattro juniores al comando della gara al termine della prima tornata, giocoforza costretti a tornare sui propri passi e perdere secondi per fortuna poi non capaci di falsare i valori in campo. In logistica così precaria, difficile immaginare la presenza di qualcosa di simile ad una sala stampa, mentre invece buono spiegamento di telecamere fisse avrebbe raccolto immagini poi trasmesse dal canale nazionale albanese, se non in diretta come preannunciato, perlomeno con ampio spazio in sintesi dedicate. Il nostro rimandare notizie in Italia, in ogni caso, alla fine quasi più semplice che non il reperire news o risultati ufficiali dai canali istituzionali. Come possibile che, ancora oggi, sul sito ufficiale della manifestazione così come su quello della WMRA non vi sia traccia delle classifiche? Hai voglia a promuovere così la disciplina! Riflessioni non troppo ottimistiche anche in termini statistici. Dopo anni di crescita, torna a calare il numero delle Nazioni presenti: ventinove ne abbiamo contate in base ai risultati altrove reperiti. Le iscritte Eritrea e Nigeria, in extremis, da solo lasciano l’Uganda, ma forse a preoccupare maggiormente è il disimpegno di Nazioni che hanno fatto la storia della disciplina. E se Nuova Zelanda, ma tanto più Austria o Francia inviano rappresentative nei numeri ridotte, che dire della Svizzera addirittura assente dal Mondiale? Eppure, in territorio elvetico, quante grandi gare ancora si continuano ad organizzare! Agganciare Paesi come Macedonia, Ungheria o la stessa Albania: operazione magari felice in termini politici, ma, almeno per ora, in termini tecnici le acquisizioni non valgono fughe e disimpegni? Mondiale difficile, non c’è dubbio. A rappresentarlo, con buona dose di sfortuna, anche quell’inno americano che, manco fosse l’11 settembre, proprio non vuole saperne di risuonare al momento delle premiazioni ufficiali. Prima si invita la rappresentativa statunitense a cantarlo – la toppa peggio del buco…-, poi ne parte uno sbagliato, infine si ritrova quello giusto e si ripetono le premiazioni… Raccontare queste vicende, addentrarci in discorsi spinosi, certo non ci piace, né forse il sentirle meno rattrista chi davvero ama la corsa in montagna. Tacerle, però, non addentrarsi, magari, di più ancora spiacerebbe. Sarebbe segno di rassegnazione, non di amor di patria. Sarebbe segno di una passione ormai arresasi all’indifferenza. Paolo Germanetto Due bagni fatiscenti per 400 atleti... Traguardo di un mondiale? Zona arrivo vista dal basso