Dallo scherzetto che il buon Alexis rifilò a Marco De Gasperi, alla rivincita azzurra, con il trionfo trentino di Marco Gaiardo. Passando, inevitabilmente, per l’assolo della russa Svetlana Demidenko e per l’alloro più bello del talento più precoce e fugace che la corsa in montagna mai conobbe, quello della belga Catherine Lallemand. Da Madeira a Trento, per rivivere qualche scorcio delle prime due edizioni di un Campionato Europeo che a Telfes, tra qualche giorno, compirà invece il suo ottavo compleanno.  Storia piuttosto recente  – e al solito fatta di alternanza tra percorsi “only  up” e tracciati “up and down” – quella della rassegna ora direttamente gestita dalla EA. Storia che si innesta però su quella più longeva di una Coppa Europa nata invece – manco a  dirlo – in Italia: era il 1994 quando a Nevegal, nel bellunese, Nives Curti e Andrea Agostini tutti gli altri misero in fila.
A  Madeira, nel 2002, fu invece un simpatico elvetico, con il suo copricapo nero, a mettere tutti in fila. E Alexis Gex-Fabry, un po’ a sorpresa, divenne così l’uomo incaricato di aprire l’albo d’oro ufficiale della rassegna continentale. Ad affiancarlo, come prima donna, ci pensò Svetlana Demidenko, la russa che in quel paio di stagioni non trovò sulla sua strada avversarie in grado di frapporsi tra lei e le vittorie più importanti. Favoritissima della vigilia, nell’isola atlantica portoghese, la Demidenko vinse nettamente, con l’allora ventitreenne Lallemand a risorgere dopo stagioni buie e soffiare così l’argento alla ceca Anna Pichrtova. Sesta e migliore delle azzurre fu una certa Valentina Belotti, la bresciana che a Telfes sarà una delle punte…più appuntite della faletra azzurra.

A Camara de Lobos, la perla più bella di Alexis, partito sognando la medaglia e ritrovatosi invece a dare le spalle anche al nostro Marco De Gasperi, il grande favorito, che nemmeno nella difficile discesa finale  riuscì a riagguantare quello svizzero fuggito in salita. Con gli altri azzurri Manzi e Gaiardo ai piedi del podio, più turco che mai fu il bronzo: a nome non certo anglosassone, Abdulkadir, il nostro accompagnava anche cognome non proprio incline a mascherare le proprie origini, Turk.

Sul Monte Bondone, l’anno dopo, la rivincita azzurra:  a Trento, nel 2003, fu il gran giorno di Marco Gaiardo, indubbiamente uno dei più grandi scalatori che l’Italia mai abbia avuto. La solita tattica: pronti via, e chi ne ha mi stia dietro. Così andò anche quella volta; e dietro,  progressivamente, si staccarono: l’ultimo a farlo fu un’icona della specialità, l’austriaco Helmut Schmuck che lì colse la sua ultima medaglia internazionale, davanti al ceko Robert Krupicka, che da quel podio giù lasciò un deluso Marco De Gasperi: per il valtellinese il feeling con gli Europei, fin lì, ancora tardava ad arrivare.

Al Monte Bondone pure va ascritto il merito di aver funto da teatro per la recita  più alta di atleta fragile, nel  fisico e nell’anima, almeno quanto dotata di talento purissimo. A soli sedici anni, Catherine Lallemand già lottava con le più grandi: Guillot, Pflueger, Curti…Così fece per un altro paio di stagioni, volando anche nel cross, là dove pure fu la migliore juniores europea in una rassegna iridata. Poi si smarrì, salvo  ritrovarsi vincente e  poi di nuovo chiudere con l’atletica. Le sue lacrime sul traguardo di Trento, però, pagina nobile e umanissima nella storia della disciplina…

Alla minuta  belga quel giorno si accompagnarono sul podio la britannica Angela  Mudge e l’atleta di casa, la fiemmese Antonella Confortola, che solo qualche mese prima aveva colto l’argento mondiale a Innsbruck: un doppio podio ravvicinato che pochi eguali ha nella storia azzurra declinata in rosa.

Tracciato tecnicamente  insipido quello che nel 2004 accolse i migliori europei a Korbielov, in Polonia: una pista da  sci, prima da correre in su, poi in giù, senza nessun fronzolo in più…Percorso che, al  traguardo, fatto più unico che raro, criticarono pure i due vincitori, Anna Pichrtova e il nostro Marco De Gasperi, che, alfin, riusciva così a sfatare il tabù continentale. Lo fece quel giorno, lo fece contro un grande Florian Heinzle, il giovane austriaco che dopo tre argenti iridati juniores pur qualcosa da dire avrebbe avuto l’anno seguente.  Anche un altro azzurro, il sempre presente Gaiardo, salì su quel podio, la copia esatta di quello  – iridato – che qualche mese prima era stato ad Anchorage, in Alaska.

Di bronzo, a Korbielov, si vestì anche Rosita Rota  Gelpi, nell’anno in cui Sauze d’Oulx le avrebbe poi regalato la sua impresa più bella. A precederla, oltre ad una  Pichrtova straripante, anche Andrea Mayr: altro nome con cui, negli anni a seguire, avremmo poi dovuto prendere qualche confidenza.

Paolo Germanetto