Tra leonesse e campioni umani, tra donne azzurre che entrano nella storia e uomini che vi rimangono, tra astri nascenti e alfieri che non mollano
Per vedere l’album fotografico completo di Mauro Ceresa, da cui sono tratte queste immagini: http://picasaweb.google.com/fotoceresa/MONDIALICORSAINMONTAGNA2008#
Pioggia e nebbia a fare da cornice all’ultimo atto della Coppa del Mondo di corsa in montagna. Lasciando ad àuguri ed aruspici l’interpretazione dei segni, all’indomani della rassegna iridata di Crans Montana il pensiero torna invece ad essere rapito dalla classe e dal carattere di due straordinari protagonisti della corsa in montagna internazionale e dai lampi d’azzurro che – puntuali – colorano anche il cielo plumbeo della Svizzera Vallese.
Con la sua ventiquattresima edizione la Coppa del Mondo va dunque in pensione per lasciare spazio, dal 2009, al tanto atteso Campionato Mondiale: così ha sancito il Consiglio IAAF durante le Olimpiadi di Pechino, così si spera possa a breve dare reale seguito all’input la WMRA.
Ma politica in coda, e in cima le gesta di chi, nel bene e nel male, protagonista è stato sulle salite che dai vigneti pregiati di Sierre portano al blasone sportivo di una Crans Montana che dello sci e del golf da tempo si pregia d’essere regina.
Leonesse – Come ai Mondiali di Bursa 2006 o come agli Europei sul Grossglockner nel 2005: vola alla stessa maniera Andrea Mayr, leonessa ferita che sola si invola sin dalle prime battute. Ai pendii svizzeri chiede di poter dimenticare la beffa di un sogno olimpico svanito di un solo secondo, dopo un’intera stagione spesa, a suon di record nazionali sui 3000 siepi, ad inseguire Pechino. L’esile austriaca dalla corsa sì sgraziata ma incredibilmente redditizia, a Crans Montana, commossa, torna dunque sul trono che già suo fu in Turchia e che nel finale lo scorso anno le sottrasse invece la ceca Pichrtova, questa volta finita incredibilmente lontana.
Resi i dovuti onori alla vincitrice, è però tutta azzurra la pagina che si scrive sul resto del podio. Occorre tornare ai primi vagiti di Coppa e a San Vigilio di Marebbe 1985 per ritrovare due azzurre sul podio, e con tutto il rispetto dovuto a Chiara Saporetti e Guidina Dal Sasso è di ben altro peso agonistico l’argento e il bronzo che Renate Rungger ed Elisa Desco regalano questa volta all’Italia, su percorsi di sola salita e nella rassegna al femminile forse più qualificata di sempre.
E’ gara d’attacco per l’altoatesina, di rimonta per la cuneese. Ma, al traguardo, è la stessa felicità a far sorridere gli occhi di Renate, “debuttante” ma scalatrice nata, e di Elisa, campionessa europea cresciuta a dismisura nella stagione, ma che alla vigilia anche i più ottimisti difficilmente avrebbero pronosticato così forte in sola salita. A fare le spese del temperamento delle due azzurre è soprattutto la norvegese Kirsten Otterbu, maratoneta da 2h29’12” e in gara anche a Pechino, che a lungo si gioca l’argento con la Rungger, ma che poi, ad un metro dal traguardo, perde anche il bronzo a vantaggio della Desco. Giù dal podio, ma con onore, si accomodano anche la stellina di casa, Martina Strahl, e la campionessa continentale 2007, Anita Eversten, che si consolano però con l’oro e l’argento che Norvegia e Svizzera colgono nella classifica per Nazioni. Il bronzo è invece per le azzurre: il percorso impegnativo, ma corribile esalta le doti di Rungger e Desco, ma per converso deprime quelle di Maria Grazia Roberti, che finisce ventottesima, davanti a Vittoria Salvini, che chiude invece quarantaduesima. Nulla si può imputare alle due veterane azzurre, ma solo ringraziarle per quello che negli anni hanno fatto per la causa azzurra e per quello che, eventualmente, avranno ancora voglia di fare. Non data certo di oggi la preoccupazione per il futuro del movimento in rosa, con le poche giovani di talento che tardano a crescere e con le due donne da podio che, obbiettivamente, bisognerà in futuro altresì ringraziare ogni qualvolta vorranno inserire la corsa in montagna in una preparazione più incentrata verso altri lidi, si chiamino essi maratona, pista o cross.
ANCORA "JONO", MA CHE BERNY! – Per la sesta volta iridato, per la prima da “umano”: è un trionfo sofferto, ma per questo forse ancor più intenso, quello che Jonathan Wyatt va a scrivere con la sua straordinaria rimonta finale a Crans Montana. L’Uganda trainata da Martin Toroitich e la Turchia del bi-campione europeo Ahmet Arslan a lungo sognano il colpaccio ai danni del “re della salita”. Sul podio, nobilitandolo, ci saliranno entrambi, ma l’oro cinge ancora una volta il collo del neozelandese dell’Atletica Trento, che nel momento di crisi si attacca ai garretti di un Bernard Dematteis che definire immenso nemmeno sfiora l’iperbole. Il suo quarto posto, a 44” da Wyatt, è legno che brilla più dell’argento europeo conquistato a luglio in Germania: era dal secondo posto di Antonio Molinari de La Réunion 1998 che un azzurro non saliva così in alto in una rassegna iridata in sola salita. E sul traguardo, il piccolo-grande Berny, in mezzo ad un centinaio di fantastici tifosi e amici venuti apposta dalla Valle Varaita, incassa immediati complimenti e sicure investiture da coloro che negli ultimi anni pur qualche alloro mondiali si son divisi, lo stesso “Jono” e l’azzurro Marco De Gasperi. Per il valtellinese non sono i fasti di Ovronnaz 2007, ma in una stagione iniziata ai box e proseguita senza la continuità dei tempi migliori, il suo ottavo posto è tutt’altro che da buttare: ennesimo segno di carattere oltre che di classe, qualità peraltro lungi dal dover essere ancora dimostrate. Simili possono essere le considerazioni per l’undicesima piazza di Marco Gaiardo: su percorso a lui non dei più congeniali, il bellunese porta comunque punti fondamentali alla causa di un’Italia che con la ventesima piazza di Gabriele Abate, la ventunesima di Hannes Rungger e la trentasettesima di Emanuele Manzi torna così regina anche su tracciati di sola salita. Certo mancava l’Eritrea che a Bursa fece lo scherzetto agli azzurri di Raimondo Balicco, e con la sua presenza più dura sarebbe stato trionfare: ma ciò poco toglie all’ennesima impresa dell’atletica italiana che corre in montagna.
I GIOVANI – Dal cross e dalla pista per conquistare l’alloro tra gli juniores. Tra i prati di Ebimburgo, nei Mondiali di cross, l’inglesina Laura Park era stata diciassettesima, seconda delle europee al traguardo. A Crans Montana torna alla specialità che l’aveva lanciata alcuni anni fa nell’incontro internazionale giovanile di Susa, e tra lei e il titolo iridato nessun’altra ha la forza di inserirsi. Nemmeno la turca Esra Gullu, che dopo quello europeo conquista così altro argento, precedendo sul traguardo la statunitense Alex Dunne. Inghilterra, Turchia e Svizzera per il podio riservato alle Nazioni, con l’Italia a portare a casa un quinto posto in linea con le attese e con Sara Bottarelli e Clara Faustini a chiudere vicine, al sedicesimo e diciassettesimo posto. Una terza italiana poteva essere al via, ma se a diciotto anni una maglia azzurra non si saluta con salti di gioia, giusto allora lasciare a casa chi avrà magari altre occasioni per mostrare più entusiasmo.
Potrebbe più facilmente evocare lo sci di fondo un giovanotto che si chiami Sindre Buraas, ma prima di Crans Montana nel palmares del “giovane vichingo” brillava soprattutto il quinto posto sui 5000 metri nei Campionati Europei juniores di Hengelo 2007. E’ suo l’oro degli juniores, ma l’argento è invece tutto dell’azzurro Riccardo Sterni, triestino sinora diviso tra l’atletica (14’57” sui 5000) e il triathlon, ma il cui futuro, dopo i Mondiali di duathlon di Rimini fra due settimane, potrebbe essere ora proprio indirizzato alla corsa in montagna. Le sue doti di scalatore, già emerse veementemente nell’ultima prova tricolore, lo portano sino là dove, in salita, un azzurrino non si spingeva dal trionfo di Stefano Scaini a Innsbruck nel 2002. Mevlut Savaser è il migliore della pattuglia turca che aveva fatto man bassa agli Europei: per lui è bronzo, per la sua Nazione oro a squadre. Dietro alla Norvegia, l’Italia è di bronzo, come spesso accaduto nelle ultime occasioni. Il tricolore Xavier Chavrier vive vigilia difficile, con qualche linea di febbre: chiude dodicesimo, mostrando carattere, e centrando insieme a Emanuele Rampa, ventunesimo, e Luca Re, trentaduesimo, quel podio che gli azzurri cercavano.
POLITICA DOLENTE – Archiviato l’ultimo “Trofeo Mondiale”, quale destino ora per la massima rassegna internazionale nel 2009? Dopo la defezione del Colorado e degli Stati Uniti ancora vacante rimane il nome di chi organizzerà il primo “Campionato Mondiale”. Quanto accaduto nel Consiglio della WMRA alla vigilia delle gare ha dell’incredibile e certo non depone a favore della WMRA e della sua credibilità. Nessuna ombra delle ventilate candidature di Scozia, Venezuela e Giordania, rivelatesi, come previsto, niente più che bufale, e anche quella di Campodolcino (Sondrio – Valle Spluga) viene alla fine messa in stand by dalla FIDAL. Di fronte a dettami chiari del presidente Arese, non potevano, però, almeno essere risparmiati al vicepresidente Adriano Rossi il compito di negare di fronte a tutti che l’Italia avesse una candidatura ufficiale da porre sul tavolo e alla delegazione di Campodolcino l’onta di fotografie ufficiali al mattino e di un “rimbalzo” qualche ora dopo? Un pasticcio, insomma, cui probabilmente alla fine, e in reale assenza di alternative, si troverà in qualche modo rimedio. Ma se qualcuno da questa operazione, tutt’altro che nitida sin dai suoi primi vagiti, pensava di poterne trarre risalto personale, questa volta ha sicuramente sbagliato il bersaglio. De profundis peggiore la WMRA non poteva suonare.
Paolo Germanetto