Il nostro viaggio nel tempo alla vigilia di Crans Montana: fari puntati sulle Coppe del Mondo del 1994 e del 1996
Meno sei alla Coppa del Mondo di Crans Montana. Sarà l’edizione numero ventiquattro quella che si accinge ad ospitare la località elvetica sportivamente nota soprattutto per il legame con la Coppa del Mondo di sci alpino. Qui, nella rassegna iridata che la perla del Vallese ospitò nel 1987, fece il suo debutto “mondiale” il Super G, qui, fra qualche giorno, la caccia al Mondiale si consumerà invece in salita e senza sci ai piedi.
E’ Coppa del Mondo attesa quella che sta arrivare, anche perché sarà l’ultima a disputarsi con quella denominazione – “Trophy” – che dal 2009 lascerà il posto a “Championships”, così come deciso dal recente Congresso IAAF di Pechino.
Segni di interesse verso una specialità che dopo la Coppa del Mondo della Valle di Susa (1992) trovò sorta di mediazione tra le scuole mitteleuropee, più votate alla sola salita, e quelle che invece alla salita amavano unire anche la discesa e che i loro maestri avevano in azzurri e inglesi. A partire dall’edizione di Gap del 1993 nacque così l’alternanza tra rassegne iridate di sola ascesa (anni pari) e rassegne su percorsi misti (anni dispari).
In Svizzera le carte migliori saranno dunque in mano agli scalatori, a quegli specialisti di cui il neozelandese Jonathan Wyatt ha rappresentato in questi ultimi anni l’espressione più sublime. E’ un cammino a ritroso quello che con oggi vogliamo dunque cominciare mentre Crans Montana si avvicina, provando a rivivere le emozioni vissute negli anni in cui lo striscione del traguardo era posto ben più in alto di quello della partenza.
Berchtesgaden/GER (1994):
Un’interminabile strada bianca e poi quel paio di chilometri finali con pendenza a dir poco crudele: su questo teatro si consumarono duelli tra grandissimi della specialità. Per l’Austria fu doppietta, con la graziosa Gudrun Pflueger a vincere il suo secondo titolo dopo il trionfo sotto la pioggia di Bardonecchia 1992. Si vendicò così della sconfitta inflittale a Gap, l’anno prima, dalla sua grande rivale, quella Isabelle Guillot che la maglia transalpina con onore porta a spasso ancora oggi. Fu finale intenso e crudele, con l’azzurra Nives Curti a veder sfumare il bronzo a due passi dal traguardo, quando a scavalcarla fu la ceca Dita Hebelkova. Con Maria Grazia Roberti (quattordicesima), Antonella Molinari (diciassettesima) e Mirella Cabodi (trentaseiesima) l’Italia delle donne chiuse terza, dietro Francia e Austria. Finale di grandi emozioni fu anche quello della prova maschile: Helmut Schmuck, già re sui prati di Pian del Frais due anni prima, dovette dare fondo a tutte le sue energie per lasciarsi alle spalle il primo grande Antonio Molinari a livello internazionale. Con quello splendido argento cominciava la grande avventura del camoscio trentino di Civezzano. Sul podio, a Berchtesgaden, salì anche il ceco Ladislav Reim, mentre gli azzurri di Balicco dominavano la classifica per Nazioni davanti a Francia e Germania. Il merito fu del quinto posto di uno scalatore sopraffino come Galdino Pilot, del dodicesimo di Costatino Bertolla e del diciottesimo di Claudio Amati. Andrea Agostani chiuse ventisettimo, Roberto Barbi dieci posti più indietro.
A livello juniores, le donne esordiranno solo nel ’97. In Germania si rivelò invece lo slovacco Martin Bajcicak, che nella corsa in montagna qualche anno dopo avrebbe conquistato anche un titolo europeo assoluto. Ma che soprattutto sarebbe diventato – e lo è tuttora – grande interprete dello sci di fondo mondiale. Dietro la Repubblica Ceca e davanti alla Svizzera, gli azzurrini si colorarono d’argento, con Maurizio Bonetti settimo, Rudy Gollino decimo, Alessio (Jimmy) Rinaldi quattordicesimo e Fabrizio Triulzi ventunesimo.
Telfes/AUT (1996):
Il trionfo di Antonio Molinari, la prima perla del giovane “Pirata” Marco De Gasperi: quanta carne al fuoco in casa azzurra nel piccolo centro tirolese che la Coppa del Mondo già aveva ospitato nel 1990 e che per il 2009 attende ora gli Europei. Ci vorrà il miglior Wyatt per battere – anni dopo e di poco – il 56’21” che tra la nebbia Molinari seppe realizzare quel giorno su di un percorso che da sempre rappresenta specchio fedele della caratura di un atleta. Quel giorno Antonio volava e se ne accorsero presto tutti gli altri. A cominciare da uno splendido Severino Bernardini che, seppur distante oltre due minuti, lasciò di bronzo Helmut Schmuck e portò a casa argento pregiato, alla vigilia di una maratona di Venezia da correre qualche spicciolo oltre le 2h11’ , proprio quando per la prima volta alla ribalta saliva un bel terzetto di azzurri: Goffi, Leone, Baldini. Per l’Italia fu oro anche a squadre, grazie al miglior Lucio Fregona di sempre in sola salita (sesto), a Massimo Galliano (quindicesimo), a Costatino Bertolla (diciottesimo) e Claudio Amati (ventunesimo).
La favola del Pirata dello Stelvio ebbe inizio su pendice meno nobile dello Schlickeralm che incoronò Molinari. Ma a Telfes Marco De Gasperi dominò tra gli juniores. E fu la prima di altre cinque perle a livello assoluto. Alle sue spalle, il biellese Alberto Mosca si vestì d’argento, mentre l’ottava piazza di Emanuele Manzi regalava all’Italia degli azzurrini il ritorno al successo anche su tracciati di sola salita.
Il duello Pfluger-Guillot catalizzò ancora una volta l’interesse della gara femminile e fu ancora l’austriaca ad avere la meglio: il suo ultimo grande acuto di una carriera probabilmente troppo breve, ma senza uguali quanto ad intensità. Il bronzo premiò invece l’allora diciassettenne belga Catherine Lallemand, talento precocissimo che seppe mettersi in risalto anche nel cross e su pista, ma che quasi altrettanto precocemente di lì a qualche stagione sarebbe scomparso dalle scene.
A squadre, l’Italia dovette arrendersi alle francesi, ma di peso elevato furono il quinto posto della "debuttante" Flavia Gaviglio e il settimo di Rosita Rota Gelpi, cui si unirono anche l’undicesima piazza di Maria Grazia Roberti e la quattordicesima di Matilde Ravizza.
Paolo Germanetto