Abbiamo usato anche noi il termine "sorpresa" nel primo racconto della ventiduesima Coppa del Mondo appena conclusasi a Bursa. Ma forse, a bocce ferme, meglio sarebbe parlare di un movimento in continua crescita ed evoluzione e capace di esprimere, specie sui percorsi di sola salita, verdetti meno scontati di quanto non accadesse in passato. Basta guardare la classifica della gara seniores maschile per cogliere i segni più evidenti di un fermento che merita di essere analizzato un poco più a fondo. Occorre decidere quale lato della medaglia guardare, ma le vittorie del colombiano Rolando Ortiz e dell’Eritrea nella classifica per Nazioni possono anche essere lette come le non del tutto preventivate sconfitte di Jonathan Wyatt e dell’Italia. Un dato ci preme però prima sottolineare, ed è quello della provenienza dei primi classificati. Se della Turchia, terra di confine tra Europa ed Asia, vogliamo infatti sottolineare l’appartenenza al continente asiatico, possiamo per la prima volta salutare una classifica con i cinque continenti rappresentati nelle prime cinque posizioni. L’America (in questo caso del Sud) dal colombiano Ortiz, l’Oceania dal neozelandese Wyatt, l’Africa dall’eritreo Felfele, l’Asia dal turco Selcuk e l’Europa dall’azzurro De Gasperi. Un segnale importante che la WMRA si spera sappia ben rappresentare in sede IAAF, per riuscire finalmente a fare quel passo un po’ più coraggioso che porterebbe la specialità interamente nella grande famiglia dell’atletica, senza il bisogno di ulteriori intermediari.
LE DUE FACCE DELLA MEDAGLIA – Ma eravamo partiti parlando di vittorie da leggere in modo duplice, e lì vogliamo ritornare. Inutile negare che più dei successi di Ortiz e dell’Eritrea, a suscitare notizia siano stati la caduta di colui che da oltre sei anni aveva dominato le gare di sola salita e della Nazione che dal 1985 in poi mai era scesa dal trono riservato alla vincitrice della Coppa del Mondo maschile. E’ dovuto spuntare un mezzofondista colombiano dalla testa rasata per costringere una volta tanto Jonathan Wyatt alla medaglia d’argento. Ma l’impressione è che senza lo sfortunato episodio che ne ha segnato la vigilia (morso da un cane mentre provava il percorso e costretto ad imbottirsi di antibiotici), l’architetto di Wellington sarebbe stato ancora una volta in grado di porre il suo sigillo, pur dovendo in ogni caso sudare le proverbiali sette camicie per lasciarsi alle spalle tanto l’eritreo Felfele quanto il bravissimo colombiano, capace in un sol botto di rilanciare una scuola che in Jairo Correa e Francisco Sanchez ha avuto i propri straordinari maestri. Piace, comunque, lo stile con cui Wyatt ha accettato la sconfitta, riconoscendo il valore di chi avanti a lui ha tagliato il traguardo e senza accentuare l’episodio che ne ha turbato la vigilia. Anche in questo si riconosce un campione.
IL PRIMO ARGENTO DELL’ITALIA – Che prima o poi l’Italia dovesse finir battuta lo si sapeva, così come si sapeva che sui percorsi di sola salita questo sarebbe potuto accadere con maggiore facilità. Già a Sauze d’Oulx, nel 2004, l’Eritrea allora capitanata da Mesfin aveva messo paura all’Italia di Balicco, e a Bursa la piccola Nazione affacciata sul Mar Rosso ha saputo consumare un sorpasso che può essere letto con rammarico, ma anche come il segno di un movimento fattosi sempre più competitivo ed internazionale.
A dimostrarlo è anche la prova femminile, in cui emergono nuove protagoniste come le norvegesi e in cui festeggiano scuole come quella degli Stati Uniti, di tradizione antica ma dal palmares sinora avaro di metalli pregiati. La festa più grande tocca però all’austriaca Andrea Mayr, che sul gradino più alto già era salita agli Europei casalinghi disputati nel 2005 all’ombra del Grossglockner. E mentre la ceca Pichrtova, finendo solo settima, dimostra ancora una volta la propria vulnerabilità quando si tratti di correre per il titolo iridato, a sfiorare il colpaccio sono la ventenne svizzera Strachl e la quarantacinquenne transalpina Guillot. Il nuovo che avanza e l’eterna classe di una delle più grandi di sempre.
GLI JUNIORES – Le prove dei più giovani confermano, in qualche modo, le tendenze espresse dalle gare dei seniores. In campo maschile, sempre più difficile per gli juniores europei reggere il confronto con gli scatenati virgulti africani, almeno sui percorsi in sola salita. Lo si era visto già a Sauze d’Oulx due anni fa e gli unici a provarci, allora come oggi, sono il messicano Juan Carlos Carera (l’erede designato del mitico Ricardo Mejia) e i giovani atleti turchi. Senza peraltro riuscirvi. Nel 2004 e nel 2005 migliori degli europei furono, in ordine temporale, i gemelli Bernard e Martin Dematteis, coloro che rappresentano oggi le maggiori speranze della corsa in montagna italiana. Con gli azzurrini di quest’anno a tenere comunque più che egregiamente, la palma di migliore europeo tocca questa volta, se asiatici vogliam nuovamente considerare gli atleti della Turchia, al russo Andrei Sergeev, che chiude all’ottavo posto, di un soffio avanti al francese Fico e al nostro Martino.
Protagoniste della prova giovanile al femminile si confermano invece ancora una volta le atlete dell’Est, seguendo una linea non estranea anche ai settori più tradizionali dell’atletica internazionale. Con le slovene Kosovelj e Krkoc assenti, a dominare la prova sono le giovani russe, anche se il podio individuale sancisce il netto successo della slovacca Benesova. Un altro nome da seguire con attenzione per un futuro non necessariamente circoscritto alla sola corsa in montagna.
GLI AZZURRI – E proprio dalla gara delle juniores femminili possiamo cominciare un camminio a ritroso che voglia questa volta esaminare più a fondo le prove degli azzurri. Giusto infatti dare grande risalto al bellissimo quarto posto della valtellinese Alice Gaggi, capace di giungere a soli 22" dall’argento della russa Leontieve. Per la portacolori del Valgerola una prova al di là delle attese, sicuramente la sua migliore di sempre, che va ad eguagliare le altrettante "medaglie di legno" colte in edizioni differenti da Valentina Belotti, Adele Montonati ed Elisa Desco. Con l’ eccezione della vittoria di Rosita Rota Gelpi nella prova sperimentale di Susa nel ’92, il podio individuale si conferma così stregato per le azzurrine, che quarte finiscono anche in una graduatoria a squadre, cui contribuiscono pure Anna Laura Mugno e Lavinia Garibaldi, che più della Gaggi hanno evidentemente dovuto fare i conti con lo scotto di debuttare con i colori della Nazionale.
Sul podio a squadre salgono invece gli juniores, bravi a cogliere, con una bella prova d’assieme, un bronzo che alla luce dei valori in campo rappresenta sicuramente il massimo obbiettivo alla loro portata. A livello individuale bene in particolar modo il cuneese Alessandro Martino, ma da promuovere, anche e soprattutto in chiave futura, pure Mattia Scrimaglia, Vincenzo Scuro e Nicolò Roppolo, con quest’ultimo partito con i gradi di punta e nel ruolo di chi forse più di tutti ha pagato l’emozione di correre vestito d’azzurro.
Un’emozione che ha invece sicuramente saputo ben gestire un’atleta esperta come la bergamasca Vittoria Salvini, capace con il suo quinto posto di aggiungere un’ulteriore perla ad una carriera impreziositasi alquanto in queste ultime stagioni. Vittoria finisce dunque non lontana da un podio su cui sale invece, da terza, con le compagne di squadra. Per stare davanti a Stati Uniti e Repubblica Ceca non sarebbero serviti troppi punti in più di quelli realizzati. Con Maria Grazia Roberti a fare il suo e a chiudere in dodicesima piazza, le azzurre di Balicco devono però fare i conti con la giornata non di grazia di Monica Morstofolini, ventiduesima, e con il virus influenzale che piega ancor prima di partire Elisa Desco, giunta comunque al traguardo per onor di firma in trentacinquesima posizione.
Detto della prova a squadre, la gara maschile, letta in chiave tricolore, saluta invece il ritorno sulla scena internazionale di Marco De Gasperi, che con il quinto posto di Bursa conferma di aver recuperato eccome dall’infortunio che lo aveva fermato per oltre otto mesi e di poter sempre recitare un ruolo di primo piano, anche quando i percorsi non sono comprensivi della discesa come quelli già capaci di regalargli quattro titoli iridati. Gara quasi interamente in coppia con De Gasperi, fa il campione italiano Marco Gaiardo, presentatosi al via come punta della squadra azzurra. Il suo sesto posto conferma la grande statura internazionale del bellunese dell’Orecchiella – sempre tra i primi sei nelle ultime cinque rassegne iridate -, specie perchè ottenuto su di un percorso meno di altri atto ad esaltarne le sue sopraffine doti di scalatore. Fuori dai dieci gli altri azzurri, ma basta scorrere i risultati per comprendere quanto questo possa anche essere imputato ad una crescita complessiva dei valori in campo. Due esempi su tutti il sedicesimo posto del francese Raymond Fontaine e il ventinovesimo dell’australiano Ben Dubois. Cedendo qualcosa nel finale, Gabriele Abate chiude quindicesimo, tre posizioni avanti al sempre regolare Davide Chicco, mentre Emanuele Manzi è ventiseiesimo e Diego Filippi trentaseiesimo.
Qualche perplessità avevano suscitato, alla vigilia, le esclusioni di Antonella Confortola e di Antonio Molinari. Alla luce dei risultati, facile sarebbe ora dire che specie con l’Antonio Molinari visto al Mortirolo e al Challenge Stellina le cose sarebbero potute andare diversamente, anche per quanto concerne la classifica a squadre. Troppo facile per dirlo. E allora non lo diciamo, anche perchè con i se e con i ma mai si è fatta la storia.
Paolo Germanetto